Da Botter e MondodelVino, passate sotto l’egida del fondo Clessidra, ad Antinori che ha acquisito la maggioranza della griffe friulana Jermann, da Coppo entrata nel gruppo Dosio, in una operazione tra Langhe e Monferratto, a Italian Wine Brands che ha inglobato Enoitalia, da Renzo Rosso, patron di Diesel, che, con la sua Red Circle Investiment, è salito al 7,5% (ed entrato nel Cda) di Masi Agricola, a Torrevento, già nel gruppo Prosit (fondo controllato da Quadrivio & Pambianco) che ha acquisito la maggioranza di Oria Wine: sono solo alcune delle grandi operazioni di mergers & acquisitions che hanno caratterizzato una prima metà di 2021 molto intensa da questo punto di vista. Operazioni molto diverse tra loro, per la tipologia di player coinvolti (in alcuni casi grandi realtà commerciali ed industriali, in altre società di investimento finanziario, in altri brand di primissimo piano focalizzate sulla produzione, dal vigneto alla cantina, spesso con la proprietà che vende che resta comunque nel management della realtà che compra), ma che raccontano un percorso di aggregazione che, già in corso da tempo nel panorama italiano, la pandemia, con le sue complessità contingenti e gli scenari sempre più complessi che arriveranno quando sarà davvero superata, ha accelerato ulteriormente, in quello che sembra solo un nuovo inizio di un fenomeno ineluttabile. Come spiega a WineNews uno dei massimi esperti della materia, ovvero Lorenzo Tersi, alla guida di LT Wine & Food Advisory.
“Il Covid ha solo accelerato un percorso che era già avviato nel tempo. Da qui al 2022 vedremo tante operazioni come quelle che abbiamo già visto, che coinvolgeranno tanto le imprese a capitale privato che le cooperative, che le grandi “industrie” del vino. È solo un inizio. Vedremo l’accorpamento di realtà simili che non hanno grandi asset tangibili, come vigneti o cantine, ma hanno mercato e massa critica di prodotto, o di realtà che sono “best in class”, realtà di grande prestigio che cercano di diversificare e integrare i territori e l’offerta mantenendo un posizionamento coerente. Lavorando, comunque, su valori condivisi. E questo - sottolinea Tersi - è semplicemente buon senso, sotto ogni aspetto: organizzativo, gestionale, distributivo, dimensionale, per la valorizzazione dei propri asset. Poi ci sono anche le cooperative, che devono mantenere anche il loro aspetto di impatto sociale sui territori, ma che per crescere dovranno investire sempre più anche su marchi già affermati, come per esempio ha fatto tempo fa Caviro con Cesari, in Veneto, per fare un esempio, andando cioè ad inglobare un marchio che è già di suo un ombrello territoriale della filiera. Comunque, questa tendenza all’aggregazione la registriamo da anni, e caratterizzerà ancora di più i prossimi. E attenzione all’integrazione tra filiere diverse dell’agroalimentare: vedremo sempre più imprese del food investire anche in vino, laddove ci sia la possibilità di condividere ed integrare mercati obiettivo, canali distributivi e valori simili. Senza dimenticare i fondi di investimento, che continuano a guardare al vino italiano. C’è grande fermento, e sarà il bene di questo settore che ha sofferto ma è comunque performante, sostenibile, presenta rendimento di medio-lungo termine, e rappresenta anche un business sociale di comunità e di territorio, che non è un aspetto secondario”.
La strada dell’aggregazione, insomma, sembra imboccata in maniera irreversibile. Anche perchè con la crescita della Gdo e dell’e-commerce, lo scenario di mercato post-pandemia sarà ancora più complesso, e richiederà non solo numeri, ma anche competenze più avanzate rispetto al passato. “Con la pandemia la gdo, canale in cui in tutto il mondo, il vino, con la ristorazione chiusa, è cresciuto in modo importante, ha avuto modo di tesaurizzare la politica del servizio del cliente, ed è diventata competitor della distribuzione tradizionale di vino. E poi c’è l’on line, sia della grande distribuzione che di piattaforme specifiche, che ha ancora numeri piccoli ma crescerà, grazie ad un servizio e ad una logistica sempre più efficiente, ma anche grazie all’aspetto importante della reperibilità del prodotto, che diventa quasi senza limiti. A tutto questo, il produttore di vino dovrà sapersi adattare. La gdo sarà più costosa da approcciare perchè ha alzato l’asticella, in termini di prodotto ma non solo. Stanno cambiando tante cose, e anche per le imprese è uno scenario complesso da leggere, perchè il nostro tessuto produttivo è fatto da molte imprese strutturate, ma anche da moltissime poco organizzate. Ed i piccoli produttori, anche da 100-200.000 bottiglie, si stanno interrogando sul futuro, perchè dovranno convivere con nuovi modelli distributivi, con l’innovazione, con errori di posizionamento fatti in passato, sullo scaffale e on line, perchè si trovano spesso bottiglie uguali con differenze di prezzo importanti da un rivenditore all’altro, e questo è disorientante. Inoltre, il modello distributivo, ormai, ha il mondo come riferimento - sottolinea Tersi - perchè questo è quello che consente l’on line, ed è per questo che sono importanti analisi come quella che abbiamo fatto per il Consorzio di Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, che ci ha chiesto di monitorare a che prezzi vengono venduti i suoi vini nel mondo: serve consapevolezza dei propri mercati, in un mercato sempre più complesso ed affollato. E per questo, tornando al tema delle aggregazioni, il dialogare con imprenditori che fanno lo stesso mestiere in geografie diverse, ma anche in settori diversi, per il mondo del vino diventerà fondamentale”.
E se fino ad oggi si è parlato di “territori” come target degli investimenti, anche questo sta cambiando. “Il focus, più che sui territori, si concentrerà sulle aziende “best in class” dei territori. Aziende con marchi forti, che sono del territorio, e che spesso che hanno costruito il brand territoriale oltre che il proprio, e hanno trovato posto nelle carte dei vini e delle enoteche più importanti del mondo. Anche perchè in alcuni territori i valori dei vigneti è diventato quasi speculativo, in realtà come Barolo o Montalcino, o Bolgheri, è difficile investire “soltanto” in vigna. Non si parla di migliaia di aziende, ma di qualche decina per territorio, realtà che sono leader anche di Regioni o denominazioni meno note. E che magari non hanno intenzione o bisogno di vendere, ma che se c’è la possibilità di crescere, aprendo magari anche una quota minoritaria del proprio capitale, non si tirano indietro. L’Italia del vino - conclude Tersi - continua ad avere un grande appeal, il made in Italy sarà protagonista del rimbalzo, e magari chi investe nel vino del Belpaese, oltre ad una cantina con vigneti ed un marchio importante, vorrà anche un wine resort, per abbinare così l’economia della produzione del vino a quella dell’ospitalità, che sarà sempre più importante”.
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