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WINE ECONOMY

“Mergers & acquisitions” nel mondo del vino: la concentrazione dell’impresa è inevitabile

Le riflessioni di Lorenzo Tersi, tra i massimi esperti della materia, e degli economisti e accademici Davide Gaeta e Stefano Cordero di Montezemolo
DAVIDE GAETA, ITALIA, LORENZO TERSI, MERGERS & ACQUISITIONS, STEFANO CORDERO DI MONTEZEMOLO, vino, Italia
“Mergers & acquisitions” nel mondo del vino: un percorso è inevitabile

C’è chi lo vede, ormai, come uno schema di business ben definito, con le imprese che hanno capito che, per crescere e conquistare nuovi mercati, devono diventare più grandi, diversificando la propria offerta; c’è chi lo giudica come un fenomeno positivo, soprattutto quando i travasi di capitali arrivano da famiglie di imprenditori di altri settori, portando anche nuove competenze nel settore; e c’è chi non se ne sorprende perchè in ogni settore economico o quasi, questa è la via quasi ineluttabile. In ogni caso, il fenomeno del “mergers & acquisitions” nello scenario del vino italiano (e non solo) è in atto in modo sempre più intenso, come raccontano le cronache, e come sottolineano, a WineNews, operatori ed osservatori come Lorenzo Tersi, tra i massimi esperti della materia, alla guida di LT Wine & Food Advisory, o gli economisti e docenti universitari Davide Gaeta (Università di Verona) e Stefano Cordero di Montezemolo (Università di Firenze). E se questo 2022 si è aperto, in meno di un mese con la notizia della crescita, con acquisizione di ettari di vigna e di aziende, di Caparzo di Elisabetta Gnudi Angelini a Montalcino e di San Felice (del Gruppo Allianz) a Bolgheri, e con l’annuncio dell’accordo ormai quasi chiuso per lo sbarco del “Polo del Gusto” del gruppo Illy nel Barolo, è la naturale prosecuzione di un 2021 che, dal punto di vista di acquisizioni, fusioni e aperture del capitale, nel mondo del vino italiano, è stato decisamente intenso.
Con il fondo Clessidra che ha acquisito Botter e MondodelVino, Antinori la maggioranza della griffe friulana Jermann, e ancora Coppo entrata nel gruppo Dosio, Italian Wine Brands che ha comprato Enoitalia, la pugliese Torrevento (già nel gruppo Prosit di Quadrivio e Pambianco) che ha preso la maggioranza di Oria Wine, senza scordare la crescita al 7,5% di Masi (e l’ingresso nel cda) di Renzo Rosso, patron di Diesel, attraverso la Red Circle Investiment. Ancora, il Gruppo Frescobaldi ha comprato Corte alla Flora a Montepulciano, mentre Hyle Capital Partners, attraverso il fondo “Finance for Food One” è entrata nel capitale di Contri Spumanti e Santa Margherita ha comprato addirittura in Usa, con l’acquisizione della cantina Roco Winery, in Oregon, per citare gli affari più importanti. Anche per questo, “viene da pensare che, nel 2022, ci sarà un’ulteriore accelerazione di questo fenomeno, se non una vera e propria impennata - ha commentato, a WineNews, Lorenzo Tersi, tra i massimi esperti della materia, alla guida di LT Wine & Food Advisory - ma la vera novità è che chi guida le aziende ha assunto consapevolezza che, per crescere sui mercati, è necessario aumentare di dimensione, diversificando la propria offerta “geografica”.
Ovviamente, la pandemia ha inciso molto, soprattutto perchè “a molte piccole imprese che avevano distribuzione in canali in sofferenza come quelli dell’horeca, ha fatto capire la necessità di avere un partner per affrontare i mercati. Ed il dato positivo è che la finanza moderna mette volentieri risorse nel mondo del vino, soprattutto da parte di gruppi privati che sono alla ricerca di aziende target che hanno potenziale”. E, secondo Tersi, nel 2022, vedremo decine di operazioni. “Oggi noi ormai abbiamo più clienti che ci chiedono di individuare e selezionare aziende da comprare, piuttosto che realtà che ci chiedono di cercare un acquirente”. Se un tempo le realtà con più cantine e brand in diversi territori italiani erano una rarità, oggi, seppur con caratteristiche e dimensioni diverse, in effetti, se ne contano a decine, con nomi come Gruppo Italiano Vini (Giv), Antinori, Frescobaldi, Santa Margherita, Terra Moretti, Tommasi Family Estates, Zonin 1821, Feudi di San Gregorio, Angelini Wine & Estates, il gruppo Prosit, ColleMassari Wine Estates, le stesse Masi Agricola, Italian Wine Brands, Allegrini o Piccini 1882, il gruppo Duca di Salaparuta o la galassia guidata da Fontanafredda della famiglia Farinetti, per dirne alcuni. “In quest’anno e nei prossimi - aggiunge Tersi - vedremo sempre più gruppi del vino che guardano al modello della moda. Oggi non c’è una Lvmh in Italia, cioè una sigla che ha poi diversi brand anche del vino, o qualcosa di analogo a quello che Kering nella moda, cioè una realtà che poi possiede tanti marchi autonomi come Gucci o Bottega Veneta, ma anche marchi stranieri. Ma, probabilmente, nei prossimi mesi, vedremo nascere grandi sinergie soprattutto tra Francia e Italia, guidate da grandi gruppi che lavorando insieme, in qualche formula, compresa quella della joint venture, potrebbero integrarsi per crescere ancora”.
“Io lo vedo come un segnale positivo - aggiunge Davide Gaeta, produttore, economista e Docente di Economia dell’Impresa Vitivinicola all’Università di Verona - soprattutto quando si parla di capitali che arrivano da altri settori, e soprattutto se di famiglie di imprenditori, più che di fondi. Perchè oltre ad un “travaso” di capitale da un settore ad un altro, diventa anche un trasferimento di competenze, soprattutto sul fronte dell’innovazione, che, per dimensione e modello culturale, è spesso un limite per le piccole imprese del vino italiano. Ed in questo senso va segnalato anche la “verticalizzazione della distribuzione” da parte di tante aziende che sempre più spesso creano o acquisiscono commerciali per gestire importazione e distribuzione nei mercati (come riportato di recente da WineNews, ndr). C’è una tendenza alla concentrazione, è un dato di fatto. E quello che vediamo è una piccola parte di quello che potrebbe essere, perché ci sono tanti capitali di famiglie di imprenditori in Italia, che non investono ancora in vino perché non conoscono il settore o ne hanno timore”.
Che il fenomeno della concentrazione, anche nel mondo del vino, sia sempre più forte, comunque, non sorprende più di tanto, come sottolinea Stefano Cordero di Montezemolo, economista e Docente di Economia delle Imprese del Vino all’Università di Firenze: “già 15 anni fa quando parlavamo di economia e finanza nel mondo del vino - ricorda a WineNews - dicevo che era ineluttabile che si andasse verso la concentrazione, come avviene in ogni settore economico. E la concentrazione si fa in due modi. O acquisendo quote di mercato, come è successo, visto che 15 anni fa le 200 realtà più grandi più importanti facevano il 50% del vino confezionato, forse meno, mentre oggi fanno oltre il 65% della produzione. E in questo senso sono emerse le realtà con strutture aziendali forti, capaci di superare le crisi che ci sono state ed un mercato che si è ribaltato, e che oggi, rispetto al passato, vede preponderante la quota export, tra il 60% ed il 70%, rispetto a quella del mercato domestico. E per conquistare il mercato e mantenerlo - sottolinea Montezemolo - oltre alla qualità del prodotto, servono anche forza distributiva e commerciale, la capacità di premiare gli agenti e di gestire la rete meglio dei competitor. La seconda strada è quella delle acquisizioni, che, però, è quasi sempre perseguita o da fondi di investimento che hanno liquidità, o da grandi società come il caso di Italian Wine Brands, che è anche quotata in Borsa, o comunque da gruppi di impresa che ha hanno già dimensioni importanti, con oltre 100 milioni di euro di giro d’affari, e fanno acquisizioni mirate ed organiche o a completare l’offerta, o per mettere piedi in territori dove poi, magari svilupparsi ulteriormente. Ma se osserviamo le operazioni più grandi, hanno tutte per protagoniste realtà che hanno un’impostazione più industriale. D’altronde il private equity cerca spesso realtà con poca proprietà fondiaria e molta produzione, e questo è il target, ed in questo senso il mondo del Prosecco, per esempio può essere molto interessante. A volte, poi, le aziende crescono talmente tanto che emergono visioni diverse tra i soci proprietari, che sono spesso familiari, e c’è chi decide di monetizzare. In ogni caso, la concentrazione delle imprese nel mondo del vino è un fenomeno che si svilupperà ancora. Dobbiamo anche ricordarci che il mercato del vino confezionato, per come lo conosciamo oggi, è un fenomeno recente, ha poco più di 40-50 anni di vita perchè prima gran parte del mercato era sullo sfuso. E, quindi, economicamente c’è stata una crescita molto rapida, e ora è il momento del consolidamento e della razionalizzazione. D’altronde - conclude Montezemolo - un settore che fa 12-13 miliardi di euro di fatturato alla produzione, ha bisogno di strutture di impostazione industriale per sostenersi. Ma attenzione: non sempre le aggregazioni creano valore. Serve un management adeguato per gestire certi processi e dar loro continuità e seguito. E su questo il vino italiano deve ancora investire molto”.

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