Tutto il mondo, per tante ragioni, guarda con preoccupazione alla drammatica escalation che sta vivendo il conflitto tra Russia e Ucraina. Il timore per la perdita di vite umane, ovviamente, è al primo punto. Ma con pragmatismo, come in ogni conflitto, sono tanti gli interessi in gioco, compresi quelli del made in Italy agroalimentare, che ha soprattutto nella Russia un mercato di destinazione importante, e nell’Ucraina un primario fornitore di grano, come abbiamo scritto ieri qui. E per alcuni territori molto esposti in Russia, la preoccupazione è maggiore che per altri. Come, per esempio, per il distretto dell’Asti, che vede nel Cremlino uno dei principali mercati per i suoi spumanti. “Siamo fortemente preoccupati. La crisi ucraina, i venti di guerra e le prospettive, sempre più ravvicinate, di sanzioni commerciali alla Russia preoccupano fortemente gli agricoltori piemontesi”, dice Enrico Allasia, presidente Confagricoltura Piemonte, evidenziando l’apprensione del mondo agricolo, sottolineando come l’aumento dei costi energetici, il rincaro dei cereali per l’alimentazione del bestiame e soprattutto il timore di una riduzione delle esportazioni di vino rappresentino uno scenario estremamente pericoloso per la Regione. Nel 2020, sulla base dei dati elaborati da Confagricoltura, l’Italia ha esportato in Russia vini per un valore di 297 milioni di euro, di cui 179, 8 milioni di prodotto imbottigliato. “La Russia è uno dei principali mercati per gli spumanti italiani - afferma Ercole Zuccaro, direttore Confagricoltura Piemonte - e, tra i prodotti piemontesi, per l’Asti spumante”. L’export di vino spumante italiano in Russia rappresenta un valore di 116 milioni di euro. La Russia, con un import di oltre 12 milioni di bottiglie di Asti spumante, rappresenta all’incirca un quarto del mercato delle bollicine Docg ottenute dai 9.000 ettari di vigneti coltivati nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. “Confidiamo nel lavoro delle diplomazie - dichiara Enrico Allasia - per prevenire la tragedia umanitaria, che è l’aspetto che ci preoccupa maggiormente, e anche per evitare di mettere in crisi il nostro sistema produttivo”.
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