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Conoscitore di vini e Champagne, Gabriele D’Annunzio non fu astemio, ma un raffinato bevitore

Dal Barolo al Moscato, dal Chianti al Soave e ovviamente il Montepulciano d’Abruzzo, ecco “i vini del Vate” nelle opere e nella cantina del Vittoriale

Raffinato conoscitore di vini, Champagne e liquori, nelle occasioni mondane e private, e soprattutto in compagnia femminile, e pur bevendo acqua minerale nei banchetti ufficiale, Gabriele D’Annunzio non fu astemio, come voleva far credere, per la sua immagine d’esteta. Lo racconta per la prima volta il volume “Il brindisi del poeta astemio” di Enrico Di Carlo e Luca Bonacini, che svela le consuetudini enologiche del Vate attraverso la ricerca dei vini del poeta, scoperti dopo la lettura accurata delle sue opere, dei carteggi intrattenuti con amanti, amici, politici, personalità dell’epoca, i menu storici delle cene a cui partecipò e uno studio approfondito sull’inventario della cantina del Vittoriale che alla fine degli anni Trenta compilò Luisa Baccara, fedele musa di D’Annunzio.
Quello che emerge con certezza dal volume (Verdone Editore, con la postfazione di Andrea Grignaffini, aprile 2022, pp. 152, prezzo di copertina 15 euro) è che il Vate apprezzava le buone bottiglie e il buon cibo, ma con stile. A Roma, per esempio, dove il giovane D’Annunzio trascorse un periodo significativo della sua vita, era assiduo frequentatore del Caffè Greco di Via Condotti, e dopo aver discusso delle novità editoriali e degli avvenimenti politici e mondani, era solito trasferirsi in compagnia di Sartorio, Morani, de Maria, Conti, “fino ai barconi ancorati nel porto di Ripetta, per la buona ragione che vi era dato bere un ottimo vino di Marsala, direttamente importato dal luogo d’origine”.
Compaiono vini e Champagne anche nei carteggi con “la bella romana”, l’amata Barbara Leoni, alla quale ricorderà di aver bevuto Falerno “alla piccola tavola dell’intimità e della confidenza”. Mentre è lontano da Roma per impegni militari, rammenterà anche le cene romantiche con il Capri bianco, confessandole di bere quel vino, immaginandosi la sua bocca umida. Un vino che in quegli anni era decisamente à la page e che ritroveremo anche nella colazione in onore di D’Annunzio, del 26 aprile 1908 a Venezia.
Il lavoro mette in luce un rapporto quanto mai contraddittorio tra lo scrittore e l’alcol. Bevitore di acqua purissima (prediligeva quella minerale) in banchetti ufficiali, mostrava familiarità con vini e Champagne in occasioni mondane e private, magari in compagnia di qualche donna. I vini li decanta, li storicizza, li contestualizza, li rende protagonisti di vicende personali e di famose pagine letterarie. I vini italiani raccontati e forse bevuti da D’Annunzio, comprendono 12 regioni, sicuramente il meglio della produzione enologica del tempo. Si va dal Barolo al Moscato, dal Chianti al Soave, dal Nepente d’Oliena passando naturalmente per il Montepulciano del suo Abruzzo. Per la prima volta vengono studiate le marche conservate nella cantina del Vittoriale, poco prima della morte avvenuta il 1 marzo del 1938. Sono 295 bottiglie di qualità elevatissima e con costi che anche allora erano proibitivi: un vero e proprio “tesoretto” a conferma dell’elevato tenore di vita del poeta.
Tra le altre curiosità del libro, si segnalano la Denominazione Acquarzente, in sostituzione del francese Cognac, la scelta di chiamare “Molovin” un liquore da lui inventato, e i carteggi con celebri produttori e ristoratori dai quali si faceva inviare casse di vino pregiato, magari in cambio di una sua fotografia con dedica.

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