I vini low e no alcol sono destinati a dividere a lungo opinioni e mercato. Da un lato, chi li vede come una enorme opportunità commerciale, e, dall’altro, chi ritiene non si dovrebbero neanche fregiare del nome vino. Di certo, il comparto delle bevande analcoliche o a bassa gradazione - dalla birra al sidro, passando proprio per il vino e per il Gin - è una solida realtà che, nel 2022, secondo i dati Iwsr, ha movimentato un’economia da 22 miliardi di dollari, con una crescita prevista nell’ordine del +7% annuo per i prossimi cinque anni. È il motivo per cui la ProWein, nell’ultima edizione, ha deciso di dedicare alla categoria un intero spazio, forte anche dell’interesse mostrato dal trade, emerso dalle pieghe del “ProWein Business Report 2022” (qui i grandi temi economici: https://winenews.it/it/i-grandi-temi-delleconomia-al-centro-dei-pensieri-degli-imprenditori-della-filiera-del-vino_489187/), che ha raccolto il punto di vista di 1.150 operatori - wine merchant, importatori, distributori, ristoratori - da 16 Paesi diversi.
Se, per il 63% degli intervistati, le aspettative più alte sono per le bollicine, e per il 60% il 2023 sarà l’anno dei bianchi, un terzo dei professionisti del vino (33%) si aspetta ottime performance da parte dei vini low alcol, ed il 24% è pronto a scommettere sul successo dei no alcol. Percentuali tutt’altro che marginali, con enormi differenze tra un mercato e l’altro. I vini no alcol, ad esempio, raccolgono il 53% dei consensi in Gran Bretagna, il 43% in Olanda, il 36% in Finlandia, il 34% in Germania, il 33% in Norvegia, il 24% in Belgio, il il 22% in Danimarca, il 21% in Spagna, appena il 20% negli Stati Uniti ed il 19% in Svizzera. Grandi aspettative, in Uk, anche per i vini low alcol, destinati a grandi performance per il 67% degli operatori britannici; percentuale che scende al 56% in Norvegia, al 51% in Usa, al 43% in Olanda, al 36% in Canada, al 34% in Portogallo, al 31% in Germania e Francia e al 18% in Spagna e Svizzera.
Il successo, almeno potenziale, dei vini low e no alcol sul mercato britannico è dettato anche dalla fiscalità Uk, dove le tasse dipendono dal grado alcolico, per cui su un vino senza alcol non grava alcuna tassa. All’interno della categoria low e no alcol, le aspettative maggiori sono per i vini bianchi, per i quali il 73% del trade internazionale prevede buone performance nel 2023, seguiti dagli spakling (58%), dai rosé (37%) e dai rossi (27%). Un risultato figlio dei risultati raggiunti, almeno sin qui, dalle diverse tipologie: se per gli sparkling la ridotta gradazione alcolica può essere compensata al meglio in termini sensoriali dalla carbonatazione, e nei bianchi l’industria del vino ha migliorato tantissimo i risultati negli ultimi anni, quando si parla di vini rossi le cose sono un po’ più difficili, perché rimuovendo l’alcol i tannini diventano più prominenti, e ricostruire un equilibrio sensoriale non è sempre facile.
Sui mercati, i Pesi più ricettivi sono quelli scandinavi (Danimarca, Svezia e Norvegia), ma rispetto agli sparkling i più ottimisti sono Canada (91%), Italia (79%), Usa 78%), Norvegia (78%) e Svezia (76%). Per i vini bianchi, invece, i Paesi più ricettivi sono Danimarca (78%), Norvegia (78%), Svezia (76%), Olanda (69%) e Canada (68%). I rosati raccolgono consensi soprattutto in Danimarca (78%), Norvegia (67%), Belgio (62%), Gran Bretagna (60%) e Germania (56%). I rossi, infine, godono di ottime prospettive in Danimarca (83%), Svezia (76%), Canada (64%), Usa (63%) e Norvegia (56%).
L’aspetto forse più interessante che emerge dal report, firmato dalla ProWein, riguarda la reazione di trade e produttori al mutare del mercato. Tra i primi, il 16% è pronto a mettere in portfolio vini low no alcol, una percentuale che sale al 49% tra chi crede nella performance positiva della categoria; l’11%, quindi, aggiungerà vini no alcol alle proprie proposte (il 47% tra chi crede nella categoria). La maggior parte dei produttori, invece, pari al 52%, non ha in programma alcun cambiamento, il 10% del totale (il 30% di chi crede nella categoria) ha intenzione di produrre un vino low alcol, ed appena il 3% lancerà sul mercato un vino no alcol (il 15% tra chi pensa che i vin no alcol faranno bene nel 2023).
Anche in questo caso, esistono differenze sensibili tra i diversi mercati. In Usa il 43% degli operatori del trade (il 93% tra gli ottimisti), metterà in portfolio vini low alcol, una percentuale che crolla al 10% (38% tra i no alcol enthusiast) in Italia. Molto diverso il quadro rispetto ai vini no alcol, con il 29% del trade del Regno Unito pronto a trattare queste referenze nel 2023, che negli Usa però conquistano solo l’8% dei wine merchant, importatori e distributori. C’è, inoltre, evidentemente, un limite alla produzione di vini low e, soprattutto, no alcol: è una tecnologia costosa, di certo non alla portata di tutti, per cui le produzioni minime per tantissime aziende sono comunque troppo grandi rispetto ai propri numeri abituali. Più semplice, ma limitato a pochi gradi di differenza, intervenire sugli aspetti agronomici ed enologici, anche e soprattutto per rispondere agli effetti del Climate Change. L’aspetto tecnologico, comunque, è fondamentale per il settore dei vini no e low alcol, in cui la sperimentazione è continua e il cambiamento, giocoforza, una costante.
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