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VINO & RELIGIONE

Il Negroamaro Passito “Mater Terra” di Apollonio è il “vino da messa” dell’Arcidiocesi di Lecce

Il cardinale Marcello Semeraro: “se manca il vino, manca la gioia”. Una tradizione che prosegue in Italia grazie a pochi, ma “fedeli”, vignaioli

Dai vigneti di Moscato delle Langhe - dove si trova anche la “vigna del Papa” di Grignolino nel Piemonte delle origini di Papa Francesco - ai filari di Marsala in Sicilia, da quelli di Nosiola in Trentino a quelli di Trebbiano e Malvasia in Toscana, da cui nasce il Vin Santo, la cui produzione abbraccia anche i vigneti di Garganega in Veneto e tutte le Regioni dell’Italia centrale, dall’Umbria - dove non si può non citare anche il Sagrantino di Montefalco, creato nel Medioevo come vino da messa dai seguaci di San Francesco - alle Marche e al Lazio, c’è una piccola ma attiva schiera di vignaioli italiani impegnati “fedelmente” a produrre un vino rigorosamente “naturale” e puro, frutto della vite e genuino: è il vino da messa usato dai sacerdoti nella funzione eucaristica e certificato dalla Curia con il suo sigillo.
Una tradizione che prosegue anche in Puglia, con il “Mater Terra” Negroamaro Passito Rosso Salento Igp della Cantina Apollonio divenuto a tutti gli effetti vino da messa, ovvero autorizzato dall’Ufficio Liturgico Diocesano per le celebrazioni eucaristiche nelle Chiese dell’Arcidiocesi di Lecce, “benedetto” nei giorni scorsi nel Palazzo Arcivescovile di Lecce, dall’Arcivescovo di Lecce Michele Seccia, che ha ringraziato “i fratelli Massimiliano e Marcello Apollonio per il grande dono che fanno alla comunità e alla celebrazione della santa liturgia dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita della Chiesa”, e dal cardinale Marcello Semeraro, che ha ricordato il legame indissolubile tra Chiesa e vino “simbolo di amicizia e fedeltà a un segno del nostro Signore” e l’idea che Cristo, legando l’Eucarestia al pane e al vino, abbia voluto invitare i suoi fedeli alla lietezza: “non si sopravvive senz’acqua, si può vivere senza bere vino. Ma Gesù non voleva che i suoi discepoli sopravvivessero, bensì che fossero felici e contenti. Perché, se manca il vino, manca la gioia”.
Se anticamente era imposto esclusivamente l’uso del vino rosso, simbolo del sangue di Cristo, oggi il vino da messa prediletto dai sacerdoti sull’altare è soprattutto quello bianco per motivi per lo più pratici (non macchia i paramenti), e nella tipologia di vino liquoroso, per la più lunga conservazione, in perfetto stato. Ma su tutte, c’è una regola “sacra” che i conventi, le istituzioni religiose e le cantine selezionate dalla Curia che oggi lo producono, devono seguire fedelmente, sancita dal Codice di Diritto Canonico: “Vinum debet esse naturale ex genimine vitis et non corruptum”, ovvero deve essere prodotto da uva pura, con la genuinità come requisito fondamentale, senza alterazione o l’aggiunta di sostanze estranee, sottoposto a controlli della Diocesi che ne certificano la idoneità e sicura provenienza.
Per la scrittrice Giovanna Politi, autrice del testo che accompagna l’etichetta del vino da messa di Apollonio, “Mater Terra” è un vino che sa “di terra arsa e fertile scaldata dal sole”.

Focus - Testo del Cardinale Marcello Semeraro a commento dell’autorizzazione concessa dall’Ufficio Liturgico Diocesano: “il vino è il simbolo della gioia e della festa”
“È risaputo che per la celebrazione dei suoi Sacramenti la Chiesa fa spesso ricorso all’uso di alcuni elementi naturali”, scrive in proposito il cardinale Marcello Semeraro, “come l’acqua per il Battesimo, l’olio unito a profumi per la Cresima, l’olio per l’Unzione degli Infermi, il pane e il vino per l’Eucarestia. Ciascuna di queste scelte rituali ha dietro di sé un universo simbolico, facilmente percepibile almeno nelle sue liee essenziali e condiviso anche in differenti culture. Così accade ad esempio per il vino, che insieme con l’olio e il grano è, specialmente nell’area mediterranea - e dunque anche nell’ambiente palestinese familiare a Gesù, il frutto tipico di una terra bella e feconda, benedizione di Dio: “Iddio ti doni la rugiada del cielo e la fertilità della terra e abbondanza di frumento e di mosto” (Gen 27,28). Il vino in particolare nella tradizione biblica è il simbolo della gioia e della festa. Non soltanto di questo, ovviamente, giacché, come la gran parte dei simboli, anche il vino è ambivalente: per i suoi effetti inebrianti, difatti, l’uso smodato del vino è simbolo del disordine, della degradazione, della distruzione dell’esistenza: “Non fare uso forte del vino, perché ha mandato in rovina molti, sentenzia il sapiente … Esso è come la vita per gli uomini, ma devi berlo con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Quello fu creato per la gioia degli uomini … Amarezza dell’anima è il vino bevuto in quantità con eccitazione e per sfida…” (Sir 31,25-30).
Per comprendere il significato simbolico del vino nel sacramento dell’Eucarestia, insomma, “è importante riferirsi primariamente alla sua dimensione gioiosa, in modo particolare quando è legata alla convivialità, all’amicizia, alla festa: come suo primo “segno” alle nozze di Cana, Gesù trasformerà l’acqua in vino (cf.Gv2,3_10). Il colore rosso abituale del vino, inoltre, associato alla sua qualità naturale di suscitare un più forte senso vitale rimanda spontaneamente all’idea del sangue, anch’esso elemento congiunto naturalmente alla vita. Si comprende facilmente, pertanto, come Gesù, per esplicitare la sua morte come segno di un’amicizia (alleanza) nuova e definitiva tra Dio e l’uomo e come offerta della propria vita, nel contesto di un banchetto abbia presentato ai suoi discepoli, ormai chiamati “amici”, il calice del vino. È pure questo il senso delle parole: “Bevetene tutti…”, che ogni fedele ascolta dalla voce del sacerdote durante la Santa Messa, nel momento in cui egli fa il ricordo di quanto Gesù fece e pronunciò nel cenacolo nell’imminenza della sua passione e della sua morte. Qui raggiunge il suo vertice il simbolismo del vino nella Sacra Scrittura”.
La Chiesa ha sin dal principio percepito questo significato, “e continua a farlo ancora oggi, sino alla fine dei tempi. Il martire San Giustino, un filosofo palestinese vissuto nel II secolo, indicava nel vino eucaristico il segno dell’amore di Dio per il suo popolo, e il segno del vincolo di amore tra Cristo e la Chiesa. Sant’Ireneo di Lione, vissuto anch’egli nel II secolo e da Francesco proclamato Dottore della Chiesa, spiegava che il vino eucaristico è comunicazione col sangue, cioè con la vita immortale di Cristo, il quale con il suo sangue (ossia, col dono della sua vita) ci ha salvato. La fede della Chiesa è appunto questa: mediante il sangue di Cristo noi abbiamo il perdono e la remissione dei peccati (cf. Mt 26,27s; Col 1,14). Tutto questo”, conclude il cardinale Semeraro, “i cristiani lo esprimono e lo vivono nella partecipazione alla Santa Messa, quando si nutrono del pane e bevono il vino eucaristico”.

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