Anche lo Champagne, il “re” delle bollicine mondiali, autentico vino-icona nel mondo e tra i simboli, forse il più “chic”, di una Francia enoica da copertina ma che, anche per i propri “gioielli”, sta guardando al futuro cercando di anticipare i tempi. E la Champagne, il suo territorio, non si ferma a lodarsi dei successi ma va avanti, forte di un 2023 che, pur non essendo stato sfavillante, con 299 milioni di bottiglie sul mercato (-8,2% sul 2022), ha generato un giro d’affari che si è mantenuto sopra i 6 miliardi di euro. Un bel biglietto da visita per un futuro che, però, deve fare i conti con il tema, fondamentale, della sostenibilità. Tanto che è stato pubblicato uno studio inedito per guidare la transizione sostenibile dell’intero settore vitivinicolo: se, nel 2003, lo Champagne era stata la prima grande regione vinicola al mondo a completare la sua valutazione della “carbon footprint”, l’urgenza climatica la costringe, oggi, ad accelerare il processo. Ma quali sono gli approcci diversi per favorire la sua transizione sostenibile? Per rispondere a questa domanda, la Cattedra di Bioeconomia e Sviluppo Sostenibile di Neoma, business school francese, in collaborazione con la Caisse d’Epargne Grand Est Europe, ha condotto uno studio inedito per accompagnare tutti gli attori del settore. La loro formazione, la diffusione degli esperimenti e lo sviluppo di cicli di circolarità “virtuosi” a favore di nuove pratiche, emergono come i principali obiettivi per raggiungere le ambizioni di sostenibilità del settore.
Come molti settori, anche la filiera dello champagne sta attualmente affrontando una doppia sfida: un cambiamento climatico sempre più evidente ma anche aspettative più alte da parte dei consumatori in cerca di prodotti più rispettosi dell’ambiente. In questo contesto è importante creare un impulso collettivo che coinvolga l’intera filiera preservando, al contempo, la diversità. “Oggi, l’innovazione e la sostenibilità sono sfide cruciali perché l’obiettivo è che lo champagne rimanga fonte di ispirazione per l’intero settore vitivinicolo, in Francia e nel mondo”, spiega Nicolas Béfort, direttore della Cattedra. Realizzato nel corso di tre anni, lo studio mette in luce altrettante categorie di organizzazioni in base al loro grado di avanzamento nel processo di transizione ambientale: i “vignaioli pionieri”, fortemente impegnati da 10 anni; i “vignaioli principianti” che hanno avviato la loro transizione da 5 anni ed i vignaioli alla guida di piccole tenute, il cui passaggio a una produzione sostenibile è più recente. Questo studio, basato sull’analisi di database e su una vasta campagna di interviste, condotta con gli attori della filiera, ha anche evidenziato l’esistenza di due approcci alla riorientazione strategica tra i professionisti dello champagne. E quindi l’approccio “a puzzle” dove la transizione ambientale è affrontata in modo indipendente, per aree di emissioni di gas serra (coltivazione, vetro, imballaggio, trasporto ...), e declinata in obiettivi misurabili. Un metodo che per Befort “richiede spesso un bilancio tra l’identità del marchio e le sfide della sostenibilità, con incertezze sulla percezione del consumatore” ma anche una strategia “principalmente implementata da organizzazioni di grandi dimensioni, capaci di investire in R&S (ricerca e sviluppo, ndr) per razionalizzare i processi ed elaborare piani d’azione dedicati”. E poi c’è l’approccio “olistico” dove la sostenibilità è vista come un processo di transizione globale, principalmente orientato verso le modalità di produzione: la valutazione delle pratiche avviene tramite i marchi che strutturano la professione (certificazione Hve, label Viticulture Durable en Champagne Vdc, label Bio).
Una diversità strategica e organizzativa che potrebbe far pensare ad una divisione tra gli attori della filiera ma lo studio mostra che entrambi gli approcci coesistono tra i produttori di champagne e sono, tutti e due, creatori di valore. “Il collettivo svolge un ruolo determinante grazie a un’organizzazione interprofessionale molto strutturata che opera da tempo a nome del marchio Champagne. Tutti gli attori intervistati sottolineano la necessità di favorire l’intelligenza collettiva e l’innovazione partecipativa”, aggiunge Nicolas Béfort.
La ricerca rivela anche tre misure per accelerare l’attuazione della sostenibilità dello Champagne: la formazione degli attori e la diffusione delle conoscenze in tutte le fasi di ricerca e innovazione rappresentano uno dei principali canali, attraverso la fornitura di strumenti pertinenti e l’identificazione di percorsi di transizione di successo che fungono da modelli. Il coinvolgimento delle cooperative, ad esempio, è fondamentale per la diffusione delle buone pratiche. Così come la generalizzazione degli esperimenti, specialmente attraverso la creazione di un Registro ad hoc e il Censimento delle pratiche sperimentali. “Una delle direzioni identificate nello studio è la replicazione degli esperimenti in diverse parti del vigneto utilizzando lo stesso metodo”, ha sottolineato Béfort. Lo sviluppo di cicli di circolarità che consentano di creare nuove attività e favorire il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica è la terza raccomandazione identificata nello studio.
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