In Italia il giro d’affari delle “agromafie” è stimato intorno ai 25 miliardi di euro, e gli irregolari più o meno gravi occupati in agricoltura, intorno ai 235.000. E il tema del caporalato, come hanno raccontato le cronache, anche brutali, degli ultimi mesi, è inaccettabile sempre, ma soprattutto nelle zone in cui l’agricoltura è ricca, come nei territori più prestigiosi del vino, come ricordato anche da Carlo Petrini, parlando delle sue Langhe, a WineNews.
Un tema complesso, e “quando è la legge a creare l’illegalità costringendo tante persone ad una vita di riscatto è un problema. Ci sono leggi criminogene, che mettono ai margini le persone più fragili e vulnerabili, sotto ricatto, soprattutto gli ultimi e gli invisibili, che sono i più ricattabili. Non possiamo accettare che la disumanità diventi legge. Il “decreto Cutro” (che, nel 2023, ha stretto ancora di più le norme contro l’immigrazione irregolare, ndr) è disumano, chiaro?”. Parole, nette, schierate e come sempre appassionate e vissute in prima persona, da decenni, quelle di Don Luigi Ciotti, sacerdote simbolo della lotta alle mafie, con il Gruppo Abele, ma anche con “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, da cui è nata anche “Libera Terra”, realtà esempio della gestione dei terreni agricoli sottratti alla criminalità organizzata. Un tema, quello dei migranti, del caporalato e, più in generale, della dignità del lavoro e della vita, sul palco, nei giorni scorsi, a “Terra Madre” 2024.
“Qualche mese fa il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è sempre molto misurato nelle parole, come si deve essere per essere credibili e seri, ha detto che il Trattato di Dublino del 1990 sui migranti è preistoria, e da queste parole è sufficiente capire che è una grande denuncia. Come diventa importante e prendere coscienza che le riforme fatte nel nuovo patto Ue sono peggiorative, per i migranti. Ci troviamo da anni a ragionare, a riflettere, ma lasciamo dei vuoti, e, nei vuoti, si infila la criminalità organizzata. Le agromafie sono portatori d’affari per quelle stesse forze criminali, ma sono criminogene anche le multinazionale che gestiscono certi poteri. Le mafie ci vanno a nozze, sono forti, possono fare i loro affari. Non ci sono solo la droga, il gioco d’azzardo, le rinnovabili, tra le loro risorse: le agromafie sono un grande settore per la criminalità, che si infila non solo nei campi, ma anche nei grandi mercati della frutta e della verdura, della distribuzione, e non solo”.
Secondo Don Ciotti - sul palco, tra gli altri, con Bruno Giordano, magistrato in Corte di Cassazione, Jean René Bilongo, presidente Osservatorio Placido Rizzotto e responsabile del Dipartimento Politiche Migratorie di Flai-Cgil, Sara Manisera, giornalista, autrice di inchieste e documentari, ed Andrea Malaguti, direttore del quotidiano “La Stampa”, “da 170 anni parliamo di mafia, ma, nonostante l’impegno, la generosità ed il sacrificio di molti, e, nonostante i notevoli passi avanti che sono stati fatti, l’Italia si è fermata alle stragi di Capaci e Via d’Amelio, quando ci fu una grande scossa, una grande ondata emotiva. Ma non basta. Nel nostro Paese si normalizza tutto, il crimine mafioso è diventato semplice crimine, nella testa della gente e nella testa di chi fa le leggi, che stanno depotenziando strumenti di lotta e contrasto alla illegalità ed alle mafie. Si dovrebbe investire di più nei controlli, negli strumenti. Ma la politica non fa abbastanza, i provvedimenti scritti sulla carta devono diventare carne. La legge di contrasto al caporalato è eccellente, ma se non viene applicata, se non ci sono risorse, se non ci sono uomini per i controlli, è una presa per il naso. Non basta tagliare la malaerba in superficie, dobbiamo estirpare il male alla radice, con un grande impegno educativo di politica sociale. I migranti non si possono tenere quando servono per lavorare e poi andare via. Diciamo spesso che l’Italia è la culla della civiltà, ma allora - arringa Don Ciotti - cosa ci impedisce di dare la cittadinanza a chi, da famiglie straniere, nasce qui, a chi vive e studia qui ? Vedo una grande emorragia di umanità in un Paese che amo: serve una rivolta delle coscienze di tutti, il problema non sono solo i mafiosi, chi sfrutta, ma i milioni di persone che sono “neutrali”, siamo noi che permettiamo tutto questo. Non basta commuoversi, le emozioni passano, devono diventare sentimenti ed impegno. Le agromafie crescono, le mafie sparano di meno ma sono più forti di prima. Le mafie sono trasversali, transnazionali, usano tecnologie, molti boss sono diventati manager, imprenditori. L’ultima mafia è sempre la penultima, i mafiosi si rigenerano, siamo noi che dobbiamo rigenerarci di più. Ci sono leggi come quella sui subappalti che aprono le strade alla mafia. La sola ’ndrangheta calabrese è in 42 nazioni nel mondo. La politica deve fare la propria parte, ma anche noi cittadini dobbiamo fare la nostra parte. Serve una sveglia in più, uno scatto in più”.
Anche perché, ha aggiunto Giordano, “la giustizia, da sola, non riesce a colpire il sistema che porta allo sfruttamento del lavoro in agricoltura. La storia di Satnam Singh (il bracciante indiano morto in maniera cruenta questa estate, nelle campagne di Latina) non è un caso isolato di sfruttamento, purtroppo, e non era per nulla invisibile. Perché c’è un problema grande di omertà. Basta andare alle ore 5 sulla Pontina, a Roma, per vedere migliaia di persone, ma lo stesso in Puglia, nelle Langhe, nel Trevigiano e in tanti altri luoghi. È un tema che non attiene solo al lavoro, ma è l’ultimo anello del sistema della filiera quello più debole. Spesso si sente che gli agricoltori sono costretti a pagare 3 euro l’ora un bracciante perchè il prezzo riconosciuto al prodotto è troppo basso, siamo tornati indietro di 200 anni: il prezzo basso riconosciuto ad un prodotto comprime il lavoro e la condizione di vita delle persone. E questo accade nel sistema della produzione e distribuzione agroalimentare, perchè l’industria alimentare e gdo dettano i prezzi, di conseguenza tutto il sistema del terziario e del secondario comprime il primario. Spesso si pensa che lo sfruttamento sia lo sfruttamento del piccolo agricoltore rispetto al lavoratore, ma non è l’ottica giusta. Lo sfruttamento nasce con l’immigrazione, si deve cambiare mentalità sui flussi migratori. Ci sono le “cooperative scure” - ha detto Bruno - di cui nessuno parla: in Romania ci sono 43.000 società italiane con sede a Bucarest, solo 21.000 attive realmente, 20.000 operano in Italia. E non si creano senza la consulenza di un notaio, di un avvocato, di un commercialista … ma così il lavoro “nero” diventa “grigio”. Poi c’è il tema dei controlli. Per intervenire nelle aziende agricole ci vogliono centinaia di persone per fare una retata su tanti ettari, non è “semplice” come in un cantiere edile o un’attività commerciale. E poi le cose spesso in apparenza sono in regola. Ci sono buste paga fittizie a poche ore a settimana, e quando fai il controllo, guarda caso sono proprio quelle ore. E poi, in fondo - accusa ancora Giordano - manca una vera volontà politica di toccare questo aspetto, perchè dobbiamo fare i conti con resistenze di tipo categoriale che riguardano il tema del profitto. A noi manca anche una struttura giudiziaria ad hoc, da 20 anni proponiamo la Procura Nazionale del Lavoro, perchè oggi lo sfruttamento del lavoro non è più diviso a livello geografico, ma appartiene ad un sistema economico che va studiato e affrontato a livello almeno distrettuale, se non nazionale”.
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