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RICERCA

Crea: Ia e cloud per collaborare con studiosi di tutto il mondo e definire il genoma del grano duro

Ecco il progetto “Pangenoma frumento duro”, coordinato con le Università di Bologna e del Saskatchewan con la partecipazione di Microsoft
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Crea e Microsoft insieme nel progetto di ricerca “Pangenoma frumento duro”

“Perché alcune piante sono verdi e sane mentre altre stanno morendo?” Questa è la domanda che apre il video, recentemente pubblicato dal Crea, l’ente italiano di ricerca sull’agroalimentare vigilato dal Ministero dell’Agricoltura, “Il puzzle della pasta: decodificare il Dna del grano duro per un futuro sostenibile” e che ha dato vita all’ambizioso progetto “Pangenoma frumento duro”, presentato, nei giorni scorsi, e coordinato insieme alle Università di Bologna e di Saskatchewan (Canada), finanziato, per l’Italia, dal Pnrr-progetto Agritech e svolto in collaborazione con Microsoft, che ha fornito il suo sistema cloud “Microsoft Azure”, capace di mettere in rete decine di ricercatori di tutto il mondo e farli collaborare in tempo reale su un’enorme mole di dati. L’obiettivo è quello di decodificare tutti i geni di tutte le varietà di grano duro presenti sul pianeta per poter poi sviluppare nuove varietà più sostenibili e resilienti mediante l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale e supercalcolo. Garantire un futuro per questa coltura è centrale, considerando che, oltre ad essere alla base di uno dei piatti più cari e rappresentativi della cucina italiana, la pasta, il grano costituisce il 20% dell’apporto calorico mondiale (e fino al 50% in alcune regioni) secondo uno studio pubblicato su “a Year on the Field” da Peter Shewry, direttore associato Rothamsted Research, Centro di ricerca no-profit britannico.
“L’infrastruttura informatica messa a punto con Microsoft per il progetto Pangenoma frumento duro rappresenta una svolta per chi fa ricerca - spiega il professor Andrea Rocchi, presidente Crea - perché consente a tutti i ricercatori Crea di accedere da remoto alla più avanzata piattaforma bioinformatica attualmente disponibile. Siamo particolarmente orgogliosi di aver fatto da apripista in tal senso”. “Ci è voluta la maggior parte del mio dottorato di ricerca per clonare un singolo gene che era importante per una caratteristica del grano - racconta Curtis Pozniak, genetista che dirige il Crop Development Center all’Università di Saskatchewan e tra i fondatori di Pangenoma - con il tipo di dati e strumenti di analisi che abbiamo ora a disposizione, lo stiamo facendo in poche settimane o mesi”.
La piattaforma basata sul cloud Azure, infatti, può ospitare e analizzare molti petabyte (con ogni petabyte che equivale a 1.000 terabyte) di dati genetici sui genomi di diverse varietà di grano (e dei suoi antichi antenati) provenienti da più fonti. Tutti i dati generati dagli studiosi al lavoro sui genomi del grano vengono organizzati attraverso una pipeline (serie di step di elaborazione dei dati, in questo caso gestiti con codici open-source) che, attraverso le sue capacità di calcolo ad alta velocità, supporta i tantissimi professionisti da tutto il mondo che tentano di mettere insieme il complesso puzzle del genoma del grano duro, formato da 14 cromosomi (definiti dall’ordine di miliardi di piccole sequenze).
Il genoma del grano tenero è stato completato nel 2017 e questa “lista dei geni” che compongono ogni essere vivente, contiene miliardi di basi di Dna in sequenze specifiche che descrivono il funzionamento di un essere vivente nei dettagli più intricati e minuti. A livello genomico, il grano è particolarmente elaborato (con 10,5 miliardi di basi nel grano duro e circa 15 miliardi di basi nel grano tenero, più di tre volte il genoma umano), ma “l’idea è trovare i geni che controllano caratteristiche specifiche nella pianta, rendendo possibile creare nuove varietà con le caratteristiche desiderate con più velocità”, dice Primetta Faccioli, ricercatrice Crea che, da oltre 20 anni, si occupa dell’analisi dei dati.
Una storia, quella del grano duro, che parte da più di 10.000 anni fa, quando alcuni agricoltori neolitici iniziarono a coltivare una pianta selvatica chiamata farro, selezionandone i semi con caratteristiche che lo rendevano più facile da raccogliere e mangiare. Nel corso delle generazioni, attraverso la coltivazione selettiva e l’incrocio, gli agricoltori selezionarono prima il grano duro e, successivamente, il grano tenero per il pane. Quando piccoli gruppi di persone migrarono dalla Mezzaluna Fertile, un’area del Medio Oriente dove si ritiene siano iniziate le prime forme di agricoltura, portarono con sé dei semi, adattando ulteriormente le piante ai climi e alle condizioni delle nuove terre. Cattivelli, esperto del genoma del grano e direttore Crea, dice che il prossimo capitolo della storia riguarda il nostro immediato futuro e che gli scienziati dovranno sviluppare nuove varietà di grano ed altre colture di base per via del ritmo rapido dettato dai cambiamenti climatici: “dobbiamo adattarci al clima proprio come hanno fatto i nostri progenitori. È fondamentalmente la stessa storia, solo che, ora, il clima non cambia solo passando da una parte all’altra del pianeta, ma anche nello stesso luogo da un decennio all’altro”.
La lunga storia del rapporto tra il grano e l’uomo, però, ha fatto sì che alcune caratteristiche genetiche utili siano rimaste esclusive di popolazioni locali o di forme selvatiche e rischiano di essere perse per sempre: questo è un processo normale quando una specie viene messa in coltura (o come si dice “addomesticata”) e poi selezionata per avere varietà più produttive. Ed è per questo che “dobbiamo trovare e registrare tutta la diversità genetica che esiste - spiega Elisabetta Mazzucotelli, una delle ricercatrici che, a Fiorenzuola, lavorano al Progetto Pangenoma - perché potrebbero esserci caratteristiche di resistenza alle malattie, o in generale una migliore capacità di crescita, che sono rimaste nella biodiversità selvatica ma che sarebbero molto utili nelle moderne varietà di grano duro”.

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