Il Parlamento Europeo ha dato il via libera a nuovi dazi verso i prodotti agricoli e i fertilizzanti russi e bielorussi a partire da luglio 2025: in particolare, è previsto un aumento del 50% delle tariffe per beni come zuccheri, aceto, farina e mangimi e un dazio del 6,5% sui fertilizzanti importati dai due Paesi, a cui si aggiungono tariffe comprese tra 40 e 45 euro a tonnellata per il biennio 2025-2026 e che aumenteranno fino a 430 euro per tonnellata entro il 2028. I ricavi delle esportazioni di fertilizzanti da parte di Russia e Bielorussia sono, infatti, considerati dall’Unione Europea un contributo diretto al finanziamento della guerra russa contro l’Ucraina. E, soprattutto, vanno a colpire uno dei settori dove, nonostante la guerra, Mosca e Minsk potevano ancora puntare sull’export.
Ma la mancanza di considerazione di reali fonti alternative, l’assenza di una valutazione d’impatto e la non chiarezza sulle implicazioni di mercato preoccupano Confagricoltura: “pur condividendo gli obiettivi generali della misura, come il rafforzamento della sicurezza alimentare e la spinta alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento - evidenzia la Confederazione - ribadiamo l’urgenza di integrare il provvedimento con misure correttive che tengano conto dell’attuale contesto economico, ambientale e produttivo. In questo modo non si tiene conto delle criticità evidenziate dagli agricoltori e si rischia di aggravare ulteriormente le difficoltà delle imprese europee del comparto”.
In particolare, spiega Confagricoltura, mancano specifiche decisioni volte a rafforzare l’utilizzo dei fertilizzanti di origine zootecnica (a partire dal digestato) strategici per ridurre la dipendenza dai concimi azotati, sia una maggiore flessibilità nell’applicazione della Direttiva Nitrati (normativa del 1991 a tutela dell’inquinamento delle acque da nitrati provenienti da fonti agricole, principalmente fertilizzanti ed effluenti zootecnici, ndr).
“Il rischio concreto - conclude il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti - è che il settore primario, già piegato da calamità climatiche frequenti e rincari dei costi, si trovi nuovamente ad affrontare norme difficilmente applicabili, con effetti negativi sul piano sociale, ambientale ed economico”.
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