Un nuovo studio del Centro di ricerca sul cancro dell’Istituto Ramazzini di Bologna pubblicato su Environmental Health ribadisce gli effetti cancerogeni del glifosato, l’erbicida dichiarato “potenzialmente cancerogeno” nel 2015 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, e che invece per la Commissione Europea non presenta rischi significativi per la salute, al punto da averne autorizzato, dopo un iter travagliato, l’uso per altri dieci anni. “Di fronte alle evidenze scientifiche, chiediamo al Governo italiano e alla Commissione Europea di prendere atto e agire senza indugio per vietare subito l’uso del glifosato - ha commentato a tal proposito Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia - in ballo c’è la sacralità della salute e della vita umana, dinanzi alla quale gli interessi e i condizionamenti delle potenti lobby dell’agrobusiness devono essere sommessi”. Come si legge nelle conclusioni dello studio, curato da Simona Panzacchi ed Eva Tibaldi con Philip J. Landrigan, Fiorella Belpoggi e Daniele Mandrioli, “il glifosato e gli erbicidi a base di glifosato hanno causato aumenti dose-dipendenti nell’incidenza di numerosi tumori benigni e maligni nei topi di entrambi i sessi” e “sono stati osservati insorgenza precoce e mortalità per diversi tumori”. Il diserbante, l’erbicida più usato al mondo e brevettato negli anni Settanta dalla multinazionale Monsanto, in alcune zone del mondo viene usato anche per essiccare il grano e poterlo cogliere più precocemente, spiega la Chiocciola, e si tratta di una sostanza che impoverisce i suoli e inquina le falde acquifere: un veleno che ritroviamo nel cibo, nell’aria e nell’acqua. È un diserbante sistemico, e quindi in poche ore passa dalle foglie a tutta la pianta e poi al suolo, dove secondo le ricerche può rimanere anche per anni.
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