Italia, paese di piccole e medie imprese. Quelle con meno di 250 addetti, per capirci. Da molti indicate come segno di debolezza e causa di crescita lenta dell’economia italiana, le Pmi si stanno prendendo le loro rivincite. Anche perché la grande impresa sembra perdere colpi. Emerge dal rapporto di Unioncamere e dell’Istituto Tagliacarne, che sottolinea, come dal 1993 al 2005, le Pmi abbiano eroso il 2,8% del valore aggiunto del manifatturiero a dispetto delle sorelle maggiori. E in questo clima di ottimismo, per il prossimo biennio, uno dei settori da cui ci si aspettano belle sorprese è proprio l’agroalimentare: su 3.500 intervistati, il 54,8% pensa che le cose resteranno stabili, ma il 36,2% delle persone ritiene che le cose possano migliorare. Il settore dell’agroalimentare conquista il terzo gradino del “podio dell’ottimismo” dietro alla meccanica (50,3%), e in scia alla produzione di metallo (36,5%), lasciandosi alla spalle mostri sacri delle manifatture italiane, come l’abbigliamento e le calzature.
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