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ALLARME DA CONFAGRICOLTURA: “PER L’UVA DA TAVOLA E’ CRISI PROFONDA. UN CHILO VIENE PAGATO 45 CENTESIMI, MA AL CONSUMATORE COSTA 2 EURO”. L’ITALIA E’ LEADER IN EUROPA (550 MILIONI DI EURO DI EXPORT), MA CRESCE LA CONCORRENZA DI SPAGNA E NORD AFRICA

“L’uva da tavola italiana è in piena crisi”: è la denuncia che arriva da Confagricoltura, secondo cui “settembre è il mese dell’uva e l’Italia, con quasi 70.000 ettari e una produzione di 14 milioni di quintali annui, per un valore dell’export che supera i 550 milioni di euro, è leader in Europa e fra i principali produttori del mondo. Quest’anno il prodotto ha tutte le carte in regola, grazie anche alle invidiabili caratteristiche qualitative, ma il mercato è fermo anche per la sempre più forte concorrenza dei Paesi del Nord Africa e della Spagna”.

“Come per gran parte dell’ortofrutta, anche per l’uva il problema è la questione del prezzo pagato agli agricoltori: 45 centesimi al chilo, che diventano oltre 2 euro per il consumatore - rileva Confagricoltura - un prezzo che non ripaga assolutamente i forti investimenti sostenuti dai viticoltori che, negli ultimi anni, hanno puntato molto sull’innovazione: evoluzione varietale, progresso delle tecniche colturali, irrigazione sempre più moderna, modalità colturali per anticipare o ritardare la maturazione del frutto, coltivazioni biologiche e idroponiche (senza terra)”.

In particolare, la Puglia produce più della metà dell’uva da tavola italiana, seguita da Sicilia, Basilicata e Sardegna. Le principali varietà coltivate sono, per le bianche, Italia, Vittoria e Regina, per le rosse, Moscato d’Amburgo, Red Globe e Rosada. Si stanno, inoltre, affermando sempre più le uve apirene (senza semi) per venire incontro alla sempre maggiore richiesta dei consumatori, e che sono le sole a tenere i prezzi: “L’impegno dei nostri produttori per fornire un prodotto di qualità sempre elevata non è più sufficiente - conclude Confagricoltura - deve ripartire subito il confronto tra gli operatori del comparto, con l’obiettivo di riequilibrare la filiera, dando maggiore potere contrattuale ai produttori, con una giusta ripartizione della catena del valore”.

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