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ANCHE AL SENATO SI SCOPRE CHE MANGIARE FUORI TUTTI I GIORNI NON È COSÌ ECONOMICO. DA QUANDO I PREZZI DEL RISTORANTE DI PALAZZO MADAMA SI SONO ALLINEATI A QUELLI DEI RISTORANTI “COMUNI”, LA CLIENTELA È DIMINUITA DEL 70%

Al Senato tornano di moda gli spaghetti al pomodoro e il risotto “all’inglese” (in bianco per capirsi). La scelta non dipende da qualche tipo di dieta particolare, ma dal fatto che i prezzi del ristorante di Palazzo Madama si sono allineati a quelli di tutti gli altri ristoranti capitolini, facendo triplicare i prezzi delle portate. Il risultato? Al ristorante del senato il numero dei pasti è calato del 70%, con i senatori che, nelle pause dei lavori in Aula, “preferiscono” andare a mangiare qualcosa fuori. Fino a tre mesi fa, il filetto di orata in crosta di patate si gustava per 5,23 euro e per il carpaccio di filetto con salsa al limone ne bastavano 2,76. Ma dalla fine di agosto i prezzi sul menu di Palazzo Madama sono triplicati e i senatori hanno rivoluzionato le loro abitudini.

Il ristorante del Senato, che prima era preso d’assalto anche da deputati e giornalisti parlamentari, adesso è mezzo vuoto. Fatto sta che la Gemeaz Cusin, la società che lo gestisce, ha deciso di gettare la spugna e chiede all’amministrazione di Palazzo Madama “una soluzione amichevole” per rescindere consensualmente il contratto, sottoscritto il 12 febbraio 2010. I motivi? Nella relazione che ha stilato Gemeaz Cusin si legge che prima della decisione dei questori di tagliare i costi, i senatori pagavano per un pranzo “il 13% del prezzo effettivo, anche per i pasti di tipo superiore o pregiato, il cui costo ricadeva, quasi per intero, sull’Amministrazione”. Dunque, detto più prosaicamente, i senatori assaporavano e i cittadini pagavano. Ora però - che le quote percentuali a carico degli utenti “sono state sensibilmente incrementate” e che i senatori pagano la spigola o il filetto quanto i comuni mortali - è comprensibile che alla Gemeaz Cusin i conti non tornino più. E che la società chieda lo scioglimento consensuale del contratto con decorrenza 31 dicembre 2011. Da quando i costi sono quelli di un comune ristorante del centro di Roma, lamenta la società, “si è verificata una eccezionale diminuzione dell’attività”, con una riduzione dell’affluenza “di oltre il 50%”.

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