Colpo di scena nella vicenda che nei mesi scorsi ha visto il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscana non confermare le autorizzazioni per condurre l’apicoltura sull’isola di Giannutri, in virtù di uno studio dell’Università di Firenze e l’Università di Pisa, che avevano condotto una ricerca in sinergia sulla competizione tra api da miele e api selvatiche, sostenendo che quelle “allevate” avrebbero messo in pericolo le seconde. Ma ora il Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) della Toscana ha accolto il ricorso presentato dall’Azienda Agricola La Pollinosa guidata da Paola Bidin - e appoggiato da tre associazioni apistiche nazionali (Unaapi-Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani, Aapi-Associazione Apicoltori Professionisti Italiani e Aissa-Associazione Italiana per la Selezione e la Salvaguardia di Apis mellifera) e dalle principali associazioni apistiche regionali (Arpat-Associazione Regionale Produttori Apistici Toscani, Aapt-Associazione Apicoltori delle Provincie Toscana, e Toscana Miele) - dichiarando illegittimo e annullando il provvedimento del Parco. Perché, sostanzialmente, l’apicoltura nomade, come quella praticata in questo caso da la Pollinosa, è un’attività libera sul piano amministrativo.
Nella propria motivazione, il Tribunale Amministrativo di Firenze ha dato atto della presenza di una “richiesta del Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente Crea recante una istanza di ripensamento sul divieto di introduzione delle colonie di Apis Mellifera sull’isola di Giannutri”. E ancora, come detto, nella sentenza viene sancito il principio per il quale l’apicoltura nomade è “un’attività libera sul piano amministrativo”. Inoltre, viene anche affermato che il regolamento dell’Ente prevede uno specifico “procedimento amministrativo per coloro che pratichino il nomadismo, il servizio di impollinazione o che comunque intendano introdurre nel parco api, alveari o apiari”, per ragioni sanitarie, che è dunque “volto ad assicurare che le citate operazioni riguardino il trasferimento di api appartenenti alla razza della Apis Mellifera Ligustica o a sottospecie autoctone, lo stato sanitario delle stesse nonché l’avvenuta profilassi anti Varroa. Le disposizioni, infatti, qualificano il procedimento come “autorizzativo”, prescrivendo la documentazione necessaria per avviarlo”. L’azienda ricorrente era fornita di tutta la documentazione necessaria. Con riferimento alle critiche proposte da La Pollinosa alle motivazioni scientifiche addotte dal Parco, i giudici toscani hanno rilevato come il Parco non abbia dedotto, ma abbia insistito “esclusivamente sulla riproposizione delle risultanze degli studi posti a fondamento della propria motivazione senza peraltro indugiare sulle censure mosse nel ricorso in termini di inattendibilità degli studi sul piano metodologico e di contenuto”. I giudici toscani hanno inoltre affermato che il Regolamento in vigore, o l’“orientamento”, come definito dallo stesso Parco, ha la finalità di “salvaguardia dell’apicoltura e tutela della sottospecie Apis Mellifera Ligustica”. In sostanza, dunque, viene così stabilito che era necessario un “contraddittorio sulle ragioni ostative al rilascio della autorizzazione” soprattutto in ragione del fatto che “negli anni precedenti il Parco aveva comunque assentito alla installazione degli apiari”, così che il provvedimento impugnato risulta quindi “illegittimo nella misura in cui il Parco non ha attivato il dovuto contraddittorio con la Società”.
Una sentenza, dunque, che non entra nel merito scientifico della vicenda, ma che si concentra su aspetti formali, che comunque rappresenta una prima importante e sostanziale vittoria per i ricorrenti, come spiega, a WineNews, Paola Bidin, che guida La Pollinosa: “ovviamente da un tribunale amministrativo ci aspettavamo una valutazione sulla procedura con cui era stato deciso il diniego, il nostro ricorso era articolato su 4 motivazioni, ed evidentemente il primo motivo, quello amministrativo, è stato ritenuto prevalente su tutto senza la necessità di andare oltre. Viene sottolineata la mancata possibilità di avere un contraddittorio che era quanto mai opportuno, anche in virtù del recente passato in cui avevamo ricevuto le autorizzazioni. Altra cosa importante è che questa sentenza - spiega ancora Bidin - poteva essere anche molto più asciutta, e invece è ben articolata, cita la lettera del Crea che non è stata presa in considerazione, e anche il fatto che abbiamo cercato un dialogo che ci è stato negato, prima di arrivare ai tribunali. Altra cosa importante è che la sentenza sottolinea che l’attività apistica nomade è libera dal punto di vista amministrativo e non richiederebbe nessuna autorizzazione, se non in forza del regolamento del Parco del 2001, che ha come finalità quella di evitare l’introduzione di api che hanno problemi sanitari o non conformi a quelle di specie Ligustica, che comunque in questi ultimi 5 anni il Parco ci ha chiesto e che abbiamo sempre presentato regolarmente”.
Difficile capire, ora quali saranno gli sviluppi. “Il Parco potrebbe anche fare appello al Consiglio di Stato - spiega ancora Paola Bidin - e in caso ci difenderemo, la sentenza mi sembra netta e circostanziata. Di certo è arrivata in tempi molto rapidi, come richiesto dal Consiglio di Stato al Tar della Toscana. In ogni caso, il lavoro che avremmo potuto fare in primavera è andato, valuteremo cosa fare, se possiamo recuperare, ma è difficile, e comunque abbiamo subito un danno e vedremo con i nostri legali come rivalerci. Sottolineo inoltre che era un lavoro rivolto non tanto alla produzione di miele quanto alla riproduzione delle api, e avevamo richiesto la possibilità della permanenza degli alveari in primavera perché ci sono più risorse, anche in virtù del fatto che Giannutri è un’isola senza accesso all’acqua potabile, siccitosa, soprattutto in estate, quando peraltro ci sono anche più turisti ai quali non volevamo arrecare disagi”. Intanto, però, in una vicenda in cui il finale definitivo è ancora da scrivere, il Tar della Toscana ha dato ragione agli apicoltori.
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