Il made in Italy a tavola continua a correre sui mercati esteri, con le vendite dei prodotti agroalimentari italiani che hanno superato i 40 miliardi di euro nel 2017, con un balzo del 27% su base quinquennale e del 5,6% sul 2016. E il trend è positivo anche nel primo semestre 2018 (+2,3%). In questo slancio internazionale, necessario alla sopravvivenza dell’agroalimentare nazionale visto lo stallo dei consumi interni, le imprese italiane, per lo più medio-piccole, hanno però bisogno di supporto e indicazioni che le aiutino a direzionarsi opportunamente sui vari mercati, quelli tradizionali come quelli emergenti. Ecco perché Nomisma, in collaborazione con Confagricoltura, ha realizzato un apposito indicatore in occasione del convegno “The Italian Food Style: Nuove Terre, Nuovi Modelli” promosso da Agronetwork, l’associazione per promuovere progettualità e competitività dell’agroindustria che vede insieme Confagricoltura, Nomisma e Università Luiss Guido Carli, oggi nella sede di Confagricoltura a Roma. Il nuovo Italian Agrifood Market Potential Index prende in considerazione le prospettive di dieci mercati target (5 tradizionali e 5 emergenti) nel prossimo quinquennio ed è elaborato sulla base di variabili di diversa natura, tra cui i redditi pro-capite, i consumi alimentari, l’import agroalimentare, il ruolo dei prodotti italiani e la presenza di dazi e altre barriere agli scambi commerciali.
Dal nuovo indice, che ha un valore pari a 100, emerge che gli Stati Uniti sono il mercato con le maggiori opportunità di sviluppo futuro per l’agroalimentare made in Italy, toccando il massimo della scala di valore e con una crescita prevista della domanda del 6,5%. Dietro gli Usa ci sono Germania (a quota 97) e Cina (94). Presentando l’indice, Denis Pantini, responsabile dell’area agroalimentare Nomisma, ha commentato i risultati osservando sugli Usa che “pur essendo un mercato tradizionale per il nostro export (peso del 10%) e nel quale le nostre aziende sono presenti da anni, le opportunità di un ulteriore sviluppo dell’agrifood tricolore sono enormi grazie all’elevata capacità di spesa di parte della popolazione, all’enorme dimensione del mercato in termini di potenziali consumatori e ad un import di prodotti italiani che per ora risulta concentrato (oltre la metà) in soli cinque stati (California, New York, Texas, Illinois e Florida. Secondo le stime Nomisma - continua Pantini - le importazioni statunitensi di prodotti agrifood dall’Italia sono destinate a crescere ad un tasso medio annuo (Cagr) del +6,5% nel periodo 2017-2022”. Per quanto riguarda Germania e Cina, Nomisma stima che in tali mercati la domanda di prodotti agroalimentari italiani crescerà ad un Cagr 2017-2022, rispettivamente, del +4% e del +12%. Seguono Canada (73), Giappone (72) e poi distanziati Polonia (52), Regno Unito (42), Corea del Sud (38), Australia (29) e Polonia (15).
Il convegno di Agronetwork ha rilevato come le potenzialità e opportunità di crescita all’estero per l’agrifood italiano siano ancora tante e promettenti, “ma bisogna promuoverle e spingerle con decisione, a cominciare dalla necessità di un piano strategico - come ha sottolineato il presidente di Confagri, Massimiliano Giansanti - per non rimanere indietro rispetto a competitor sempre più agguerriti. I mercati esteri richiedono l’agrifood italiano - ha osservato Giansanti - ma al contempo si aspettano innovazione e capacità nella trasformazione da parte delle nostre imprese. Inoltre il futuro, grazie anche alle tecnologie digitali, vedrà per l’intero comparto aumentare la competitività e la trasparenza tramite una sempre maggiore interconnessione e cooperazione delle risorse delle filiere (asset fisici, persone, informazioni, tecnologie, servizi)”.
La presidente di Agronetwork, Luisa Todini, ha sottolineato come ci sia “ancora molto da fare per sfruttare appieno le potenzialità dell’agrifood made in Italy: oggi esportano solo 4,5 aziende su 10, ed alcuni Paesi emergenti non vedono una sufficiente presenza italiana. Rimane poi il problema della concorrenza sul piano distributivo. L’Italia non ha le portaerei della Francia, della Germania e del Regno Unito e Usa nella Distribuzione Moderna all’estero. Qui scontiamo un grande ritardo”.
Al convegno sono intervenuti anche rappresentanti di Ice, Simest e Bnl Bnp Paribas che sostiene le iniziative di Agronetwork, oltre a manager dell’industria agroalimentare come Alfredo Pratolongo (Heineken), Annibale Pancrazio (Pancrazio Spa) e Guido Folonari (Philarmonica). Per Folonari il vero problema dell’internazionalizzazione per le imprese dell’agrifood italiano è la mancanza di una cabina di regia unica. Per l’imprenditore toscano ci sono anche troppi Enti che si propongono per l’internazionalizzazione e “troppo business” che ruota su questo tema. Ma a penalizzare le imprese italiane c’è anche l’eccessivo individualismo , per cui “alla Fiera del vino di Shanghai la Francia ha un padiglione definito e ben individuato da bandiere bianco-rosso-blu e padiglioni organizzati secondo i vari distretti del vino mentre le aziende italiane sono sparpagliate: chi al padiglione Ice, chi a quello delle Camere di Commercio, chi a quello della Regione Marche o Puglia e così via”. Folonari ha concluso augurandosi l’istituzione di una unica cabina di regia per l’internazionalizzazione in capo al ministero delle politiche agricole e del turismo.
Sui plus e minus che frenano l’export agroalimentare italiano si è soffermato anche Daniele Rossi, segretario generale di Agronetwork: “la limitatezza delle risorse; la ridotta dimensione economica delle imprese; la crescente complessità delle conoscenze necessarie per l’esercizio imprenditoriale e per penetrare all’estero; la prevalenza di una cultura conservativa, a volte resistente alle innovazioni richieste dai mercati degli altri Paesi - ha detto l’ex direttore generale di Federalimentare - inducono a raccomandare politiche di sostegno ancora più incisive e comprensive di una pluralità di strumenti, da quelli informativi e di scouting a quelli finanziari, fino a quelli regolativi e societari”.
“La strategia di Confagricoltura in termini d’innovazione per l’estero - ha concluso Giordano Emo Capodilista, componente di giunta - parte dal presupposto che il vantaggio competitivo sia lo stimolo più forte per facilitare l’adozione di strumenti d’esportazione ed internazionalizzazione da parte delle nostre aziende, anche attraverso la cooperazione tra i diversi attori della filiera, i processi di formazione e trasferimento di conoscenza, l’azione sinergica degli operatori istituzionali”.
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