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AUTUNNO IN CALO PER IL RADICCHIO, PRODUZIONE GIU’ MA NON PER LE VARIETÀ DI NICCHIA: -30% PER CICORIA ROSSA E FINO A -40-50% PER RADICCHIO DI CHIOGGIA, ROSSO TARDIVO DI TREVISO E VARIEGATO DI CASTELFRANCO INVECE NON CONOSCONO CRISI. COSÌ LA CIA

In tempi di crisi è sempre il lusso a farla franca. In un certo senso questo adagio vale anche per il radicchio made in Italy. Una produzione di successo che subisce ora una battuta d’arresto, ma perfettamente circoscritta: la flessione, infatti, coinvolge le varietà di largo consumo e risparmia completamente le “nicchie” più costose. Lo afferma la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, fornendo le prime stime sull’andamento della campagna d’autunno della cicoria rossa. Mentre nel Trevigiano il clima caldo dell’autunno ha ritardato la piena maturazione e dunque la raccolta del “Rosso tardivo”, si inizia a delineare l’andamento complessivo della stagione, che fa prevedere un calo medio dei volumi del 30%. A pagare di più, però, è la varietà di Chioggia, la più comune e la più economica, che da sola rappresenta oltre la metà di tutti gli altri radicchi veneti con 30.000 tonnellate prodotte soltanto nel comune d’origine. Ma che adesso, spiega la Cia, fa registrare una riduzione compresa tra il 40 e il 50%.

Invece non perdono “appeal” e quote di mercato le varietà più “nobili”, che si sono rivelate immuni al crollo generalizzato dei consumi ortofrutticoli dopo lo tsunami “batterio killer”. Nello specifico, sottolinea la Cia, si stima una produzione pressoché stabile per la varietà tardiva di Treviso Igp, che si dovrebbe attestare sui 550.000 chili. Ancora meglio fa il Variegato di Castelfranco Igp, per il quale si prevede un aumento produttivo del 27%. Un rialzo che conferma il suo trend da record, legato soprattutto all’ampliamento di terreno certificato: infatti, se nel 2009-2010 si producevano 189.080 chili di Variegato di Castelfranco (+57% sull’annata precedente), nel 2010-2011 si è giunti a quota 262.508 chili, mettendo a segno una crescita tendenziale del 38%.

Insomma, a pagare a caro prezzo l’ultimo allarme alimentare in ordine di tempo sono solo i produttori del radicchio più a buon mercato, i più diffusi e utilizzati, che in molti casi a luglio hanno rinunciato a seminare, continua la Cia, scoraggiati dai prezzi sui campi, che nei mesi scorsi hanno toccato i 5-10 centesimi al chilo, contro i 35 centesimi al chilo solo di costi produttivi. Uno squilibrio dovuto agli effetti del “batterio killer”, responsabile del crollo estivo del 20% dei consumi di ortofrutta nel Paese. Proprio per evitare di continuare a produrre in perdita, in vista della campagna d’autunno molti agricoltori, soprattutto in provincia di Venezia, hanno deciso di ridurre la superficie destinata alla coltivazione della cicoria rossa.

Il radicchio resta comunque un prodotto molto amato dagli italiani: solo nel 2010 gli acquisti medi si sono aggirati attorno ai 2,6 chili annui per famiglia, con una spesa di 136 milioni di euro, una cifra cresciuta del 24% rispetto al 2009 e addirittura del 64% sulla media degli anni 2007-2008. Un grande successo per un mercato, rileva la Cia, che dà sempre più spazio alle varietà di nicchia, proprio quelle che sugli scaffali costano di più: circa 10 euro al chilo per il rosso di Treviso contro i 2-3 euro al chilo per quello di Chioggia.

D’altro canto, se la produzione autunnale scende, le buone notizie per gli agricoltori vengono dai prezzi all’origine, che riprendono terreno rispetto alle campagne precedenti. Proprio per il radicchio di Chioggia si registrano gli incrementi più significativi sui campi: dai pochi centesimi al chilo dei mesi scorsi, osserva la Cia, si è arrivati all’euro di questo autunno; ma anche per il tardivo il prezzo sale del 20%, arrivando a sfiorare i 5 euro al chilo, mentre a restare pressoché stabile è il listino all’origine del Variegato, che si ferma a 2-2,50 euro. La produzione complessiva di radicchio in Italia, ricorda la Cia, si aggira intorno alle 280.000 tonnellate (dati 2010): rappresenta il 32% della produzione totale nazionale di insalate, preceduta solo dalla lattuga con il 42%. Da solo, il Veneto rappresenta il 54% della produzione nazionale, seguito dalla Puglia e dall’Abruzzo al secondo e terzo posto.

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