Nati in sordina, diventati di moda, e poi realtà spesso volute anche dalle amministrazioni pubbliche, gli orti urbani, in Italia e nel mondo, sono ormai un fenomeno affermato. Che sembra portare molti vantaggi: più biodiversità, meno rifiuti, miglioramento del clima, inclusione sociale, occupazione, riduzione del costo degli alimenti. Almeno, è quanto sostiene SustUrbanFood, progetto coordinato dall'Università di Bologna e finanziato dall'Unione Europea (Marie Skolodowska-Curie Action) per studiare l’impatto dei tanti nuovi spazi agricoli che negli ultimi anni si sono fatti largo tra strade e palazzi nelle città d’Italia, d’Europa e in tutto il mondo. I primi esiti del lavoro di ricerca sono stati da poco pubblicati in due articoli sulla rivista “Sustainability”.
“Gli orti orbani - rivelano i ricercatori - portano opportunità in campo ambientale, ma anche per lo sviluppo sociale ed economico. E vantaggi per il bilancio familiare: con un piccolo orto domestico, di grandezza compresa tra 10 e 20 metri quadrati, è possibile produrre abbastanza verdura per soddisfare l’intero fabbisogno annuale di una persona”.
Pur essendo iniziative locali, spesso autonome e di piccole dimensioni, la diffusione di aree coltivate in città genera un impatto significativo in diverse direzioni. Per definirne i contorni, i ricercatori di SustUrbanFood hanno utilizzato un approccio dal basso verso l’alto, interpellando direttamente le tante persone coinvolte nel settore: gestori di orti urbani, titolari di cooperative e piccole realtà agricole in città, amministratori pubblici, associazioni, ricercatori e studenti universitari.
Le opinioni, le testimonianze, le esperienze raccolte confermano la capacità degli spazi agricoli cittadini di produrre risultati tangibili nel campo dello sviluppo sostenibile. Le conseguenze positive più immediate sono quelle legate alla sostenibilità ambientale: l’aumento della biodiversità in contesti, come quelli urbani, che solitamente ne sono poveri; la capacità di regolazione del micro-clima locale che deriva da un aumento delle aree verdi; il maggior riciclo di rifiuti organici, riutilizzati come fertilizzanti naturali. Inoltre, gli orti urbani sono ormai visti come un elemento caratteristico delle città, tanto da essere considerati una componente irrinunciabile nella progettazione di nuovi quartieri e centri abitati. Non meno importante dell’impatto ambientale, poi, c’è quello sociale. Dall’analisi dei ricercatori emerge che gli orti urbani promuovono l’inclusione sociale e lo sviluppo di nuove comunità: ci si incontra, si condividono esperienze, si sta insieme, si imparano cose nuove.
Senza dimenticare i vantaggi per la salute: coltivare è anche un’occasione per fare attività fisica, e inevitabilmente fa aumentare la quantità di frutta e verdura consumata. Un aspetto, quest’ultimo, che finisce per avere un impatto anche in campo economico. Avere un orto urbano, infatti, significa poter risparmiare sull’acquisto di prodotti freschi. E allargando l’orizzonte oltre il singolo orto domestico, la nascita di piccole attività agricole cittadine porta ad accorciare notevolmente la filiera tra produzione alimentare e consumatore, favorendo lo sviluppo di modelli economici alternativi e creando così anche nuovi posti di lavoro.
Ma avere un orto da coltivare è solo un passatempo piacevole o può trasformarsi davvero in un vantaggio concreto per l’economia familiare? Per capirlo i ricercatori dell’Università di Bologna hanno studiato un caso specifico: un orto domestico di circa 30 metri quadrati situato nella città di Padova.
Per analizzarne la capacità di produzione, hanno osservato 21 cicli di raccolto, valutando di volta in volta l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e pesticidi, ma anche i materiali impiegati, la produzione di rifiuti, la disposizione e la tipologia delle diverse coltivazioni scelte. L’impatto ambientale è stato calcolato considerando il Life Cycle Assessment: un metodo che permette di tenere conto dell’intero ciclo di vita dell’intervento, dalla fase di preparazione iniziale fino alla dismissione finale. L’opzione più ecosostenibile? Pomodori e melanzane, perché producono frutti grandi e quindi raccolti maggiori rispetto ad altre coltivazioni con frutti più piccoli come ad esempio fagioli e piselli. Per le verdure a foglia verde come lattuga, bietola o cicoria, invece, è determinante la scelta della varietà: alcune sono più produttive di altre e questo incide anche sull’impatto ambientale dell’orto nel suo complesso.
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