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“Biologico: il futuro del settore passa dai Piani di sviluppo rurale. Bisogna creare filiere in nuovi settori e sui distretti biologici, sviluppare aggregazione e logistica, puntare su zootecnia bio e giovani “multifunzionali”. Così la Cia e Anabio

Non si può parlare del futuro del biologico senza parlare dei Piani di sviluppo rurale (Psr) e del sostegno che la nuova politica di sviluppo rurale 2014-2020 ha riservato al settore. Un “aiuto” che ora deve servire al “bio” italiano per consolidarsi e rafforzarsi. Partendo dall’obiettivo ambizioso ma realizzabile di raddoppiare, nei prossimi 7 anni, le superfici dedicate e il numero degli operatori agricoli coinvolti. Emerge dal convegno di Cia-Confederazione Italiana Agricoltori e Anabio, la sua associazione per il biologico (www.cia.it/anabio), organizzato a Matera con il titolo “I Piani di sviluppo rurale 2014-2020: il sostegno all’agricoltura biologica nella nuova programmazione regionale”.
Nei nuovi Psr, in fase di negoziato con la Commissione Ue, il supporto al biologico sarà attuato attraverso una misura specifica, autonoma e svincolata dagli altri interventi agro-climatico-ambientali, e con una dotazione finanziaria dedicata che potrebbe superare il 10% del budget per lo sviluppo rurale nel suo complesso. Un sostegno al settore - hanno evidenziato Anabio e Cia- che non si limita soltanto ai premi specifici previsti nei Psr, ma anche ad altre azioni orizzontali come la ricerca e la promozione e a interventi sulla filiera, compresa la fase di distribuzione e i controlli.
D’altra parte, hanno spiegato Cia e Anabio nel corso del convegno, il “bio” non è più una nicchia, ma è uscito definitamente dalle “mode” per diventare una vera abitudine di spesa, come dimostrano i dati sui consumi domestici che, dal 2007 in poi, hanno sempre fatto registrare segni positivi: +17% nel corso del 2014 e un fatturato che ammonta a 2 miliardi di euro (3,1 se si considera anche l’export). E anche il mondo produttivo si dà da fare per rendere il segmento del biologico una delle certezze dell’agroalimentare “made in Italy”: l’Italia è al sesto posto nella classifica mondiale per superfici dedicate e al primo in Europa. In Italia oggi il 9% della Sau è coltivata con metodo biologico per un totale di 1,1 milioni di ettari. E il numero degli operatori della filiera è cresciuto del 5% nell’ultimo anno, a quota 52.383, di cui 41.513 sono produttori esclusivi. Tutti, poi, con caratteristiche fortemente innovative: un’alta percentuale di donne (25%), di giovani (il 50% ha meno di 50 anni), di imprenditori agricoli aventi un livello di istruzione elevato (il 32,2% ha un diploma e il 16,8% una laurea) e con una Superficie agricola utilizzata maggiore (la media aziendale del bio è di 26 ettari contro i 7,9 delle aziende tradizionali). “Eppure - si è detto nell’iniziativa di Matera - si può fare ancora molto, grazie ai Psr, per superare quelli che ad oggi sono i punti di debolezza del settore in Italia dal punto di vista produttivo: scarsa organizzazione della filiera e in particolare, bassa disponibilità di centri di stoccaggio e logistica; scarsa diffusione di colture a più alto valore aggiunto e con forti potenzialità di mercato interno e internazionale: ortaggi (22.000 ettari), frutta (28.000 ettari); agrumi (28.000 ettari); vite (68.000 ettari); colture industriali (16.000 ettari)”.
“Per questi motivi - secondo Cia e Anabio - con la programmazione dello sviluppo rurale 2014-2020 il biologico deve porsi ambiziosi obiettivi: innanzitutto raddoppiare le superfici e il numero degli operatori e creare filiere in nuovi settori, rafforzando quelli già strutturati. Poi sviluppare l’aggregazione e la logistica e istituire distretti biologici volti a valorizzare l’ambiente, la storia, le tradizioni, la cultura di un determinato territorio. E ancora: sviluppare la zootecnia “bio” e le relative filiere a cominciare dalla produzione di alimenti biologici per animali, dando particolare attenzione all’alpeggio e alla monticazione. Inoltre, bisogna dare priorità ai giovani che praticano l’agricoltura biologica e istituiscono fattorie sociali e didattiche e intraprendono programmi di trasformazione in azienda, per agriturismi biologici, per la produzione di erbe officinali. Infine è necessario andare nella direzione di abbattere i costi di certificazione del “bio” tramite parziale rimborso, adottando modalità di rendicontazione semplice.
Questi obiettivi possano essere raggiunti in perfetta coerenza con le 6 priorità del Fears che sono considerate idonee per conseguire un ampio uso dei metodi di produzione biologica. Anabio e Cia hanno, quindi, chiesto alle Regioni di assegnare alla misure specifica un’adeguata dotazione finanziaria e la priorità per le aziende biologiche sulle altre misure.
“Il fenomeno del “bio” - ha detto il presidente Cia, Dino Scanavino, nelle sue conclusioni - nato quasi più come un movimento culturale, allo stato attuale ha conquistato consistenti fette di mercato e rappresenta una realtà economica di tutto rilievo. Alla luce di ciò, il biologico costituisce una valida strada di sviluppo, in grado di associare alla riduzione dell’impiego di input chimici una serie di vantaggi di sistema”.

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