Da “semplice” rimborso per la pausa pranzo a strumento a un passo dall’essere un titolo di credito tout court: ecco cosa succederà al comunissimo buono pasto, in tutte le sue molteplici forme aziendali, a partire dal prossimo dieci settembre, quando il voucher per il pasto, che oggi alimenta un settore economico pari all’1% del Pil nazionale, sarà ufficialmente cumulabile e spendibile in esercizi commerciali (sia di prossimità che della grande distribuzione), presso coltivatori diretti o società agricole abilitati alla vendita al dettaglio o al consumo in loco dei propri prodotti, agriturismi e mercati rionali, e anche in giorni non lavorativi.
Il decreto 122/2017 del Ministero per lo Sviluppo Economico, che abilita ufficialmente questi usi, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale a metà dello scorso mese, e oltre ad allargare notevolmente la platea degli usi possibili del voucher pasto, ne disciplina in maniera più stringente anche alcuni aspetti. I buoni (fino a otto per volta) saranno spendibili solo dal loro titolare, e non saranno più cedibili, convertibili in denaro, rivenduti o utilizzati per importi inferiori a quello previsto. Resta invariata, invece, la tassazione applicata ai buoni pasto, con la soglia di esenzione che resta a 5,29 Euro per quelli cartacei e a 7 per quelli elettronici, in virtù della loro maggiore tracciabilità: molte, quindi, le novità degne di nota alle porte per quei 2,5 milioni di italiani che ogni giorno hanno a che fare con questo tipo di buoni, per un mercato che vale ogni anno, in Italia, 3 miliardi di Euro, e che a valle del decreto Mise assomiglia sempre più a una vera e propria moneta alternativa.
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