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“TERRA MADRE SALONE DEL GUSTO”

Carlo Petrini, a WineNews: sono le nostre vite che devono essere sostenibili, per rigenerarci

Abbiamo chiesto al fondatore Slow Food il significato della “RegenerAction”: trovare l’equilibrio tra piacere e responsabilità, con il cibo e non solo

“Mai come in questo momento storico siamo coscienti dell’importanza che ha il sistema alimentare, tutto, nel suo complesso, rispetto al degrado ambientale. E quindi come la necessità di rigenerare il modo di alimentarsi e di produrre sia un esigenza non più procrastinabile, pena il fatto che diventiamo complici di uno sconquasso ambientale che non ha non ha paragoni nella storia. Pensare che questo sistema alimentare è il principale responsabile del 37% di Co2 prodotta è impressionante”. Lo ha detto, a confronto con WineNews, il fondatore Slow Food Carlin Petrini, al quale abbiamo chiesto il significato della “RegenerAction” a “Terra Madre Salone del Gusto” al Parco Dora di Torino, ex fonderia in periferia che ora è un parco urbano e che è stato scelto dalla Chiocciola per ospitare il più importante evento mondiale dedicato al cibo perché è un luogo simbolo di rigenerazione. Un claim che, ci ha spiegato Petrini con la sua grande chiarezza, “vuol dire mettere in atto comportamenti virtuosi: primo, ritornare nei nostri acquisti alla stagionalità dei prodotti, secondo valorizzare l’economia e i produttori locali, terzo ridurre lo spreco partendo dai nostri frigoriferi, quarto ridurre la percentuale di proteine animali rispetto alle proteine vegetali, perché il consumo di carne è altrettanto impressionante, produce Co2 e assorbe acqua”. Invece che abusare tanto della parola “sostenibilità” parlando del nostro futuro, dobbiamo fare in modo, cioè, che ad essere sostenibili siano prima di tutto le nostre vite.
“Molti vedono la riduzione del consumo di carne come una forma di mortificazione, ma non è così - ricorda il sociologo - quando io ero giovane alla fine degli anni Cinquanta gli italiani consumavano 40 kg pro capite all’anno di carne. Oggi siamo a 95. Ma non è che in quegli anni ci alimentavamo male: l’Istituto Nazionale della Nutrizione ha dichiarato che è stato il momento della loro esistenza in cui gli italiani hanno mangiato meglio. Adesso questo consumo esagerato di carne ha anche delle complicanze salutistiche. Si dice che queste siano scelte individuali: no, perché se diventano collettive sai quanta acqua risparmiano e quanta Co2 in meno produciamo. Non dico di tornare a 40 kg, ma se ci riposizionassimo anche attorno ai 60 kg, risparmieremmo tantissimo con un atto molto semplice, guadagnandoci in salute”.
Scelte che, Slow Food compie e ci invita a compiere da sempre, e che sono di indirizzo ma anche politiche, senza mai chiederci di rinunciare al piacere, anzi, perché con il magone non si fanno le rivoluzioni come dice Petrini, e se c’è una cosa che la Chiocciola ci ha insegnato è il valore del cibo, al quale ci ha fatto appassionare, nella vita come nella nostra professione. “È così in ogni aspetto della nostra vita. Il fatto che le due funzioni più importanti che garantiscono la continuazione della specie, mangiare e fare l’amore, sono sostenute dal piacere è una cosa straordinaria, e noi non possiamo ridurlo alla sola crapula ed al mangiare e mangiare, o solo a noiose riflessioni. Dobbiamo trovare il modo di mettere in equilibrio il piacere con la responsabilità, a partire da un rapporto con il cibo e con il vino che sia più costruttivo e coinvolgente”.
Nel dialogo, bellissimo, sull’“Economia di Francesco” in apertura di “Terra Madre Salone del Gusto”, Slow Food ha parlato di sostenibilità, aggiungendo a quella ambientale, economica e sociale, la sostenibilità spirituale e la ricerca del senso, perché sono fondamentali anche nella rivoluzione del cibo. “Prima di tutto - spiega Petrini - dobbiamo correggere il tiro rispetto al fatto che buona parte della sinistra italiana e del mondo laico hanno confuso la spiritualità con la religiosità. Sono due cose diverse: la spiritualità è una cosa indispensabile per tutti, un po’ come la sessualità. Non è una prerogativa dei credenti, anche il mondo laico ha una sua spiritualità, e anche la grande tradizione del mondo operaio e socialista aveva un substrato spirituale molto importante. Rivendicare la spiritualità per tutti i viventi è un modo di avere un approccio verso il mistero che è fondamentale. Diceva Einstein: le persone che rispettano il mistero sono quelle che hanno una visione del mondo più importante. Senza il rispetto per il mistero non si riesce a vedere tutto il resto”.
A proposito di vivere in modo sostenibile, nei giorni scorsi, parlando di turismo del vino al “Forum Mondiale” dell’Unwto dell’Onu, ospitato per la prima volta in Italia, ad Alba, nelle sue amate Langhe, Petrini, tra le più autorevoli voci internazionali quando si parla di cibo, e non solo, ha lanciato quello che WineNews interpreta come un allarme e che condividiamo: bello l’enoturismo, che è un driver formidabile per i territori, ma prima ancora chi ci vive e ci lavora deve essere felice, mentre molti dei nostri bellissimi borghi rurali corrono il rischio di diventare ormai dei centri commerciali “a cielo aperto” seguendo le logiche solo del profitto. “Il turismo ha aspetti positivi importantissimi -ribadisce Petrini - ma nell’equilibrio di una comunità può generare anche elementi di tensione e sofferenza. Dobbiamo prevenirlo in modo assoluto e per farlo dobbiamo partire dalla felicità degli abitanti, che non è un’opzione, ma l’essenza. Io vado volentieri a visitare un luogo se c’è della gente che sorride e che ti accoglie, e se c’è un clima di complicità. Laddove sono invece solo accudito e spremuto come turista e quindi come portatore di soldi non va bene. E non avrò lo stesso piacere che provo dove la gioia di vivere la sento nel modo di essere. Ho portato l’esempio di come tanti nostri borghi oggi famosi dal punto di vista turistico si stanno impoverendo socialmente, nel senso che non ci sono più i negozi e le osterie che erano l’essenza dell’Italia. Non penserete mica che in questi borghi si andava (e si va, ndr) per vedere solo le opere d’arte: certo, ma poi si sentiva che avevano una loro vitalità della quale diventare complici. Se questo non c’è più, tutto il turismo del mondo non potrà mai compensare quello che noi abbiamo perso. Ma non ho fatto il mio intervento in termini critici, ma costruttivi, perché se noi abbiamo una visione che mette avanti solo il turismo e non rispetta i territori, perdiamo la loro anima”.
Con le sue idee straordinarie, rivoluzionarie e coinvolgenti, nella sua lunga carriera, Carlo Petrini è tra le personalità che più hanno influenzato la riflessione intorno al cibo a livello mondiale, insieme a Slow Food e alla rete di Comunità che oggi, da tutto il pianeta, compongono “Terra Madre”, dialogando con politici di ogni schieramento e colore. Oggi, se gli chiediamo di indicare quale debba essere il primo punto nell’agenda politica di chi deve governare il cambiamento agricolo e agroalimentare, il fondatore di Slow Food risponde che “la cosa più importante è rafforzare la sovranità alimentare. Una scelta che non si coniuga solo in una dimensione nazionale, ma anche in quella di un borgo. Essere sovrani, cioè essere coloro che decidono cosa seminare, cosa piantare e cosa mangiare, è una delle essenze principali della nostra felicità e anche dell’economia alimentare. Purtroppo con il tempo abbiamo perso questa sovranità e siamo diventati dipendenti dalle derrate alimentari che arrivano da altri Continenti. Il cibo fa viaggi assurdi: pensiamo per esempio ai pomodori che arrivano dalla Cina, vengono messi in scatola come pelati con il nome italiano, poi ripartono per essere venduti in Africa come italiani, costando di meno dei pomodori degli africani. Dove è la sovranità alimentare? Questa è speculazione, che uccide la sovranità alimentare dei prodotti africani e fa deambulare questa merce in maniera incredibile. Ho portato un esempio, ma se ognuno di noi questa sera quando si mette a tavola guarda quanti km ha fatto il cibo che sta consumando rimarrebbe senza parole. Quindi la prima cosa da mettere in agenda è proprio questa: fare in modo che il più possibile di sovranità alimentare sia frutto dei territori. Dare più valore nella produzione alimentare all’economia locale che non ad una dimensione planetaria dove le merci girano senza senso. E questo lo dico anche rispetto a molte persone che hanno a cuore il biologico e poi comprano pere bio che arrivano dall’Argentina: fa più male quella pera di una prodotta convenzionalmente, ma a casa tua. Questo è buon senso, e ci deve portare a capire che la forza dell’alimentazione è riuscire a rimanere, con produzioni possibili, per la maggior parte nei territori”.

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