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CRONACA

Caso cacio e pepe: la Bbc nel mirino per la ricetta “non conforme alla tradizione”

Confesercenti e Coldiretti “denunciano” la versione britannica: “così si danneggia l’identità del made in Italy”
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Un piatto di cacio e pepe, icona della cucina romana (ph: Depositphotos)

La cacio e pepe, icona della tradizione culinaria romana, finisce al centro di un caso internazionale. Tutto nasce dalla ricetta pubblicata sul sito della British Broadcasting Corporation (Bbc), nella sezione “Good Food”, in cui il piatto viene proposto con ingredienti “non conformi alla preparazione originale”. La versione proposta dal media britannico prevedeva, infatti, spaghetti, pepe, parmigiano e burro, attribuendo al piatto “quattro semplici ingredienti” e presentandolo come ricetta autentica. Cosa che non è piaciuta a Confesercenti Roma e Lazio, che “ha espresso stupore e disappunto per la ricetta pubblicata”, chiedendo una modifica che poi, almeno in parte, è arrivata, anche se, sottolinea Confesercenti, ristabilita la vera “triade” della ricetta (pasta, pecorino romano e pepe), nei consigli resta la possibilità di usare la panna per rendere il condimento più “cremoso”.
Una piccola querelle, rispetto a molto ben più grandi e gravi questioni nel mondo complesso di oggi, che però calamita l’attenzione e fa riflettere su alcuni aspetti. “Oltre un turista italiano su due (51%) che viaggia all’estero si è imbattuto nell’ultimo anno in ricette tricolori storpiate, con l’uso di ingredienti sbagliati se non addirittura taroccati”, commenta la Coldiretti, sui dati di un’indagine con Ixè. “La vicenda della celebre ricetta romana sbagliata - spiega l’organizzazione agricola - è solo l’ultimo caso di una “galleria degli orrori” che vede tra le “vittime” i piatti italiani più celebri. Un esempio è la carbonara dove si passa dall’abitudine belga di aggiungere la panna al posto del pecorino, a quella anglosassone che sostituisce il guanciale con il bacon, fino al caso estremo del cosiddetto “carbonara gate” scoppiato una decina di anni fa in Francia, dove una video-ricetta diffusa online scatenò polemiche per l’eccessiva libertà negli ingredienti e nella preparazione. Negli Stati Uniti si utilizza, invece, al posto del pecorino il Romano cheese spesso dal latte di mucca e non di pecora. Un’abitudine che potrebbe essere ulteriormente alimentata dai dazi di Trump. L’eventuale scomparsa di molti prodotti italiani dagli scaffali rappresenterebbe un assist per la già fiorente industria del tarocco”.
Tra le ricette più spesso alterate, ricorda Coldiretti, c’è anche il pesto, proposto con noci, mandorle o pistacchi al posto dei pinoli, e formaggi generici al posto di Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano. E anche la cotoletta alla milanese è spesso oggetto di interpretazioni scorrette: invece della classica costoletta di vitello con pane grattugiato grosso, uova e burro chiarificato, all’estero viene spesso preparata con carne di pollo o maiale e fritta nell’olio di semi. “Ma ci sono anche la caprese servita con formaggi industriali, al posto della mozzarella di bufala o del fiordilatte, la pasta alla Norma, spesso priva della tradizionale ricotta salata, o il tiramisù, preparato con ingredienti che nulla hanno a che vedere con la ricetta originale a base di savoiardi e mascarpone. Un caso a parte - continua Coldiretti - è poi rappresentato dagli spaghetti alla Bolognese, diffusissimi soprattutto in Gran Bretagna (oltre che in molti ristoranti turistici del Belpaese), ma senza alcun legame con la tradizione nazionale, mentre sempre in America si serve la “Pasta with Meatballs”, pasta con le polpette”.
“La scarsa chiarezza sulle vere ricette made in Italy alimenta la diffusione all’estero di prodotti contraffatti, danneggiando sia l’economia che l’immagine dell’agroalimentare italiano. Se si fermasse la falsificazione internazionale, le esportazioni di cibo italiano potrebbero addirittura triplicare. I piatti “sbagliati” diffusi nel mondo aprono, infatti, la strada all’agropirateria, fenomeno in forte crescita, con un valore stimato di 120 miliardi di euro, alimentato anche dalle guerre commerciali, tra sanzioni ed embarghi, che frenano gli scambi, favoriscono il protezionismo e spingono la diffusione di falsi alimenti spacciati per italiani, ma privi di qualsiasi legame con il nostro sistema produttivo”, sostiene Coldiretti.

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