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Cavalcare un’onda fa gola a molti, soprattutto se c’è di mezzo un mercato di successo come quello del Prosecco. Succede in Australia, dove i produttori non distinguono fra Glera e Prosecco e difendono la loro produzione davanti ai negoziati con l’Ue

Italia
Il nome dell’uva è Glera e il nome del vino è Prosecco

Cavalcare un’onda fa gola a molti, soprattutto se c’è di mezzo un mercato di successo che garantisce la copertura di ingenti investimenti. Stiamo parlando del Prosecco, colonna portante del comparto enoico italiano, che con le oltre 500 milioni di bottiglie prodotte nel 2016 fra Prosecco Doc e Conegliano Valdobbiadene Superiore Docg e un valore economico di 2,5 miliardi di euro, è il vino che nel 2014 ha superato per la prima volta lo Champagne per numero di bottiglie vendute al mondo. Un vino “fenomeno”, appunto, che vorrebbero continuare a produrre ed esportare in molti, compresi i produttori australiani, complice la mancata distinzione fra vino e vitigno (che fa loro chiamare l’uva stessa ancora Prosecco, anziché Glera) e che permette loro di non riconoscere il luogo di origine del vino. Proprio in questi giorni, quindi, i più grandi produttori di “Prosecco d’Australia”, stanno rimarcando alle autorità parlamentari nazionali, l’urgenza di difendere la dicitura sulle loro etichette, preoccupati delle rivendicazioni italiane per voce europea.

Sono, infatti, in atto fra l’Unione Europea e l’Australia i negoziati per stipulare gli accordi bilaterali di libero scambio e l’industria vinicola australiana si aspetta da parte dell’Ue il tentativo d’impedire loro la commercializzazione di vino prodotto da uve Prosecco. Lo riporta il sito Grapegrower&Winemaker, citando Ross Brown, direttore di Brown Brothers, il maggior produttore australiano di Prosecco: “Prosecco è una varietà d’uva globalmente riconosciuta. Sarebbe come perdere il diritto di usare termini come Chardonnay e Sauvignon Blanc”. Anche Michael Dal Zotto, la cui famiglia per prima ha iniziato a produrre “Prosecco” in Australia, ha criticato la politica europea: “è una mossa cinica quella italiana, che vuole impedire ad altri Paesi di partecipare alle enormi opportunità di crescita che i mercati domestici ed internazionali del Prosecco permettono” (www.grapegrowerandwinemaker.com).

La questione è spinosa. Il riordino dei regolamenti avvenuto nel 2009 ha creato le denominazioni di Prosecco Doc e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, entrambe fortemente legate al territorio, e ha distinto il nome dell’uva (Glera) dal nome del vino (Prosecco). Il valore normativo di questo ordinamento (discorso che vale per tutto il sistema europeo delle denominazioni di origine, ndr) è limitato all’Unione Europea e spetta agli accordi bilaterali ottenerne il riconoscimento anche da parte degli altri Paesi. Questo è accaduto nei negoziati con gli Stati Uniti, col Canada e con la Cina, ma non è scontato che lo stesso avvenga con la Nuova Zelanda, l’Australia e il Brasile, che difenderanno i loro interessi economici, anche in campo vitivinicolo.

“È importante il lavoro che sta portando avanti l’Unione Europea in sinergia con il Ministero dello Sviluppo Economico e Sistema Prosecco (la società che mette insieme i consorzi della Doc Prosecco, della Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore e quello di Asolo Montello, nata proprio per tutelare la produzione prosecchista, ndr) dal 2009 - spiega a Winenews Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg - e si basa sul riconoscimento di un know how, frutto di una cultura, un sapere, una tradizione che ci permette di produrre un vino come lo intendiamo noi: fresco, fruttato, croccante … prodotto nel suo territorio ideale, che sono il Veneto e il Friuli. Se viene fatto altrove, non è paragonabile”. Questo punto in particolare, la riconoscibilità del vino, è esattamente il nocciolo della questione: “ l’Unione Europea difende il diritto del consumatore di riconoscere il vino che compra - conclude Nardi - garantendogli le corrette informazioni”.

La partita è ancora aperta fra i due fronti. Da una parte gli interessi commerciali di Brown Brothers, Dal Zotto Wines e All Saints Estate, preoccupati dalla eventualità di perdere milioni di dollari spesi in marketing e brand building, e pronti a combattere affinché il governo australiano capisca che sono in gioco posti di lavoro reali e ingenti investimenti, prendendone le difese. Dall’altra parte la salvaguardia di valori fortemente condivisi dall’Unione Europea stessa, come la territorialità storica di un vino, il luogo di origine di una produzione tradizionale e la trasparenza verso il consumatore. Ma soprattutto la tutela di quella che Nardi descrive come “proprietà intellettuale”, che ha portato il Prosecco al suo successo attuale.

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