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Cavallette arrostite e scorpioni fritti: i piatti a base di insetti fanno pensare subito all’Oriente o all’Africa. Eppure, “anche in Italia non molto tempo fa si mangiavano, e dovremmo ricominciare”. Così Maurizio Paoletti (Università di Padova)

Cavallette arrostite, scorpioni fritti e così via: i piatti a base di insetti fanno pensare subito all’Oriente o all’Africa. Eppure, “anche in Italia fino a non molto tempo fa si mangiavano insetti, e sarebbe il momento di riprendere questa pratica per un utilizzo più appropriato delle risorse”. Lo afferma Maurizio Paoletti dell’Università di Padova, che sarà uno dei relatori alla prima Conferenza internazionale sul tema che si apre a Wageningen, in Olanda, il 14 maggio.
“Ci sono vari esempi di popolazioni che mangiavano insetti o parti di insetti, ad esempio in Cadore o in Carnia - spiega Paoletti - nel nostro Paese ci sarebbe spazio per un ritorno a questa pratica. Non si può ovviamente iniziare a mangiare solo insetti, ma questo tipo di alimento potrebbe dare un buon apporto con delle risorse più sostenibili degli alimenti tradizionali”.
Nella dieta tradizionale del Friuli occidentale ad esempio, spiega Paoletti in uno dei suoi articoli pubblicato su “Contribution to Natural History”, oltre a 156 piante selvatiche c’erano bombi, lepidotteri e parti di cavallette. In totale nel mondo sono 1.900 le specie di insetti che si possono mangiare e 2 miliardi di persone, soprattutto in paesi tropicali ma ad esempio anche in Giappone, utilizzano questa forma di nutrimento.
La conferenza, che durerà tre giorni, prende spunto dalla pubblicazione della Fao del 2013, in cui si raccomandava di aumentare la quota di proteine assunte attraverso questi animali. “C’è sempre più interesse anche in Europa, e anche chef rinomati partecipano alle iniziative di promozione cucinando insetti - sottolinea Paoletti - ma c’è un problema di legislazione, perché al momento non sono riconosciuti come alimenti tranne in alcuni paesi, come il Belgio. La conferenza serve anche a sottolineare questo problema”. E poi c’è la questione del gusto ...

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