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Cibo made in Italy “must” per gli stranieri? Non conoscono il 95% dei prodotti. “Non si può puntare solo sul km 0 relegando produzioni d’eccellenza ai mercatini rionali e bloccando un potenziale da 70 miliardi di euro in export”. Parola della Cia

Non Solo Vino
Agricoltori Cia: la reputation del nostro agroalimentare è buona, per la stragrande maggioranza degli stranieri un must

A fronte di una produzione nazionale che vanta oltre 5.847 tra cibi tradizionali e denominazioni di origine, l’Italia porta sulle tavole dei consumatori internazionali non più di 200 “veri” prodotti del made in Italy. La “reputation” del nostro agroalimentare è buona, per la stragrande maggioranza degli stranieri “un must”, ma la cifra mossa dall’export è di quasi 37 miliardi di euro rispetto a un potenziale di almeno 70 miliardi. In sostanza, un paniere molto limitato di prodotti copre oltre il 90% del fatturato complessivo, che per 24 miliardi di euro è generato addirittura da scambi con le sole nazioni di Germania, Francia e Regno Unito. Numeri che fanno riflettere e che sono stati messi al centro del dibattito sull’analisi dei mercati internazionali per l’agroalimentare italiano dalla Cia-Agricoltori Italiani, oggi a Roma all’Associazione Stampa Estera, illustrando il piano di promozione e internazionalizzazione delle aziende in partnership con Ice, Gambero Rosso International, Centro Studi Anticontraffazione e Studio Valdani e Vicari. Per la Cia, insomma, i conti non tornano. A puntare il dito sulla mancanza di una strategia italiana di lungo respiro sulle politiche agroalimentari connesse all’export, è il presidente Scanavino: “ho il timore che, a forza di parlare solo di km zero, stiamo relegando le nostre produzioni di eccellenza alla vendita nei mercatini rionali, che complessivamente generano un fatturato inferiore al miliardo e mezzo di euro”.
L’Italia produce ad esempio ben 523 vini a denominazione d’origine, ma i consumatori mondiali possono “conoscerne” meno di una dozzina: questo perché gli altri non sono facilmente reperibili sui loro mercati. Quindi, mentre i consumatori internazionali trovano l’Aceto balsamico di Modena, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, i Prosciutti di Parma e San Daniele, il Pecorino romano e il Gorgonzola, ignorano - solo per citarne alcuni - il Caciocavallo Silano, il Fagiolo di Sarconi o il Riso vialone nano del Veronese. Da questo quadro si deduce come il potenziale inespresso dall’agroalimentare italiano sia enorme.
Recenti studi e analisi, su come “vengono percepite” le produzioni italiane all’estero, dicono che ben 4 consumatori stranieri su 10 giudicano la qualità dei nostri cibi superiore rispetto a quella locale, il 43% degli statunitensi chiede più made in Italy nei supermercati e ben il 74% dichiara di essere disposto a riconoscere un prezzo maggiorato sui prodotti, a patto che siano 100% italiani. La domanda è forte, ancora di più se si considerano quei Paesi praticamente vergini negli scambi con l’Italia o le realtà emergenti come l’Asia.
Finora, l’Italia non ha mai messo in campo (o lo ha fatto poco e in maniera disorganica) una strategia funzionale per aggredire i mercati stranieri, organizzando e accompagnando le imprese agroalimentari in questo processo. E anche da qui origina il fenomeno dell’Italian sounding e dei “falsi Made in Italy”, che ha trovato campo libero sui mercati internazionali, venendo a mancare di fatto il presidio dei prodotti “veri”. E tradotto in cifre il business del “tarocco”, va ricordato, muove 60 miliardi di euro ogni anno. Un fatturato totalmente scippato a chi ha costruito nei secoli sul campo, attraverso qualità e sapienza, l’immagine vincente del cibo italiano nel mondo: agricoltori e artigiani.

Focus - Ufficio studi Cia: i numeri del potenziale inespresso dell’agroalimentare made in Italy (anno da record storico 2015)
Nel 2015 le esportazioni agroalimentari made in Italy hanno sfiorato i 37 miliardi di euro e sono cresciute del 7%. Oltre 24 miliardi di euro di prodotti agroalimentari tricolori sono stati venduti sul mercato Ue (+ 7,5% annuo): Germania 6,5 miliardi; Francia 4 miliardi; Regno Unito 3,2 miliardi. Ma non c’è solo l’Europa: il 10% delle esportazioni sono state vendute negli Usa. Tra prodotti agricoli, cibi e bevande, le vendite oltre oceano hanno superato i 3,6 miliardi di euro (+ 23% annuo, migliore performance tra i mercati di sbocco).

Focus - “Top Eight” dei prodotti agroalimentari italiani esportati
(2015; % su totale export)
Vino: 15%
Prodotti da forno: 10%
Ortofrutta trasformata e fresca: 9%
Carne e prodotti a base di carne: 8%
Lattiero-caseario: 8%
Cacao, cioccolato, confetterie: 5%
Olio di oliva: 4%

Focus - Cia: prodotti di qualità: la leadership italiana
Primo paese in Europa per numero di certificazioni (847 prodotti);
- Cibi: 165 Dop; 118 Igp; 2 Stg
Vino: 405 Dop; 118 Igp
13,4 miliardi di euro il fatturato
7,1 miliardi di euro il valore delle esportazioni (food + wine)

Focus - Ufficio studi Cia: produzione esportata “Top Ten”
(Dop-Igp; valore)
Grana Padano: 612 milioni di euro
Parmigiano Reggiano: 525 milioni di euro
Aceto Balsamico di Modena: 493 milioni di euro
Prosciutto di Parma: 257 milioni di euro
Mela Alto Adige: 204 milioni di euro
Pecorino Romano: 135 milioni di euro
Gorgonzola: 101 milioni di euro
Mozzarella di bufala Campana: 76 milioni di euro
Prosciutto San Daniele: 57 milioni di euro
Bresaola Valtellina: 44 milioni di euro

Focus - Mercati di sbocco “Top Nine”
(Dop-Igp; %)
Germania: 14%
Usa: 7%
Francia: 5%
Uk: 4%
Spagna: 4%
Svizzera: 2%
Canada: 1,5%
Paesi Bassi: 1%
Giappone: 1%
Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Cia su dati Istat, Qualivita, Ismea

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