Il “made in Italy” deve rispondere a precise caratteristiche. Un prodotto non può aver questo marchio se la materia prima e la trasformazione sono estere. Lo afferma la Confederazione Italiana Agricoltori, dopo che al Cibus di Parma uno studio Ice sull’Italian sounging ha evidenziato che una pasta prodotta in uno stabilimento Usa da una nota industria italiana seguendo standard previsti da una normativa che risale al 1967 è da considerarsi italiana.
“Considerare “made in Italy” quella pasta - afferma la Cia - sarebbe un inganno non solo per i consumatori, ma anche per i nostri agricoltori. E’ grave - prosegue l’organizzazione agricola - che avvenga una cosa del genere. La normativa del 1967 è oggi praticamente superata e non si può permettere di “produrre italiano” in certe condizioni. In questo caso siamo in presenza di una vera e propria imitazione in quanto di italiano non c’é nulla”.
La Cia sottolinea che sulle produzioni agroalimentari ci sia “la massima trasparenza”. Quindi, “origine, tracciabilità ed etichettature sono gli elementi inconfondibili d’identificazione di un prodotto. Essi - ricorda la Cia - non sono solo un diritto dei consumatori, ma rappresentano un prerequisito per la competitività dei mercati. Ecco perché occorrono regole certe che tutti devono rispettare, garantendo chiarezza nei vari passaggi, dalla produzione, alla trasformazione, al consumo”.
La Cia ribadisce infine che “la trasparenza e la valorizzazione del “made in Italy” sono strade da seguire sino in fondo in modo da respingere tutti quegli attacchi e quelle imitazioni che creano solo danni economici alla nostra agricoltura”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024