Se negli ultimi mesi dell’anno il trend di crescita dell’export del cibo made in Italy (+14% sul 2021) sarà mantenuto, il valore raggiungerà i 60 miliardi di euro: una cifra record che vede la Germania come nostro principale mercato di sbocco (+14% nel 2022), davanti agli Stati Uniti (+20%), mentre la Francia si piazza al terzo posto (+20%). A trainare il nostro agroalimentare è il vino, che guida la classifica dei più esportati, seguito dall’ortofrutta fresca. Emerge da un’analisi Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi 8 mesi 2022, diffusa per la “Settimana della cucina italiana nel mondo” (14-20 novembre), promossa dalla nostra rete di Ambasciate, Consolati, Istituti Italiani di Cultura e Uffici Ice. I risultati positivi si evidenziano anche nel Regno Unito, con un +19%, con l’export tricolore che si è rivelato più forte della Brexit dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue. Balzo a doppia cifra anche in Turchia (+31%), mentre il dato è negativo in Cina (-24%), e in Russia con -11% fra sanzioni e guerra.
Ma si fa presto a dire cucina italiana: dalla panna usata al posto del pecorino nella carbonara all’olio di semi nella cotoletta alla milanese, fino agli spaghetti alla bolognese che sono del tutto sconosciuti nella città emiliana, quasi 3 italiani su 4 (73%) in viaggio all’estero per lavoro o in vacanza si sono imbattuti almeno una volta in un piatto o una specialità made in Italy taroccati. Le ricette sbagliate aprono infatti le porte all’agropirateria internazionale, il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. É significativo e preoccupante il fatto che uno dei piatti “italiani” più diffuso siano gli spaghetti alla bolognese che spopolano in Inghilterra, ma che non esistono nella tradizione nazionale se non nei menù acchiappaturisti. Una variante molto diffusa spacciata come tricolore è anche la “Pasta with meatballs”, pasta con le polpette che nessun italiano servirebbe a tavola. Tra le specialità più “tradite” ci sono anche la pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli e con il formaggio comune che sostituisce l’immancabile Parmigiano Reggiano e il Pecorino romano.
Nella ricetta tradizionale della cotoletta alla milanese invece non possono mancare, oltre alla costola di vitello battuta, il pane grattugiato grosso, le uova, il burro, meglio se chiarificato, e il sale. Una ricetta che purtroppo non sempre è rispettata e all’estero non è certo difficile trovare la cotoletta alla milanese realizzata con carne di pollo o di maiale o fritta nell’olio di semi. Praticamente ovunque è poi diffusa la tipica caprese servita con formaggio industriale al posto della mozzarella di bufala o del fiordilatte. La carbonara è stata addirittura oggetto di uno scandalo in Francia, mentre la tipica ricetta della pasta alla Norma viene taroccata dalla sostituzione della ricotta salata con semplice formaggio grattugiato, e il tiramisu, che è forse il più conosciuto dolce italiano all’estero, viene spesso tradito nelle sue componenti caratteristiche, savoiardi, mascarpone e marsala.
“La mancanza di chiarezza sulle ricette made in Italy offre terreno fertile alla proliferazione di prodotti alimentari taroccati all’estero, dove le esportazioni di prodotti italiani potrebbero triplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale, che è causa di danni economici, ma anche di immagine - ha affermato il presidente Coldiretti Ettore Prandini, nel sottolineare che - l’export del cibo made in Italy nel 2022 raggiunge la cifra vicino ai 60 miliardi in valore se il trend di crescita del 14% sul 2021 sarà mantenuto anche negli ultimi mesi dell’anno, secondo i dati Istat relativi ai primi 8 mesi 2022”.
E se la “Settimana italiana della cucina” quest’anno è dedicata a “Convivialità, sostenibilità e innovazione: gli ingredienti della cucina italiana per la salute delle persone e la tutela del Pianeta”, in testa alla classifica dei prodotti più taroccati, fa sapere Coldiretti, ci sono i formaggi, a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano, con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tuti i continenti. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella di Bologna, il salame cacciatore, gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano. Tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione Prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur. Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato.
Tra i maggiori taroccatori del made in Italy ci sono paradossalmente i Paesi ricchi, a partire dagli Stati Uniti, dove si stima che il valore dell’italian sounding abbia raggiunto i 40 miliardi di euro. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in Usa sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola, fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Ma l’industria del falso dilaga anche in Russia per effetto delle sanzioni per l’occupazione dell’Ucraina, che hanno portato Putin a decidere l’embargo sui prodotti agroalimentari occidentali e a potenziare l’industria alimentare locale con la produzione di cibi tarocchi.
In molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella lavorazione del latte e della carne per coprire la richiesta di formaggi duri e molli, così come di salumi, che un tempo erano soddisfatte dalle aziende agroalimentari del Belpaese. Un fenomeno che ha colpito anche i ristoranti italiani che, dopo una rapida esplosione nel Paese ex sovietico, hanno dovuto rinunciare ai prodotti alimentari originali. “Il contributo della produzione agroalimentare made in Italy a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale - afferma il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - si tratta di una priorità per la nuova legislatura poiché ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300.000 posti di lavoro in Italia”.
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