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CINA: CRESCE DEL 23,1 % L'EXPORT AGROALIMENTARE MADE IN ITALY

Cresce del 23,1% il valore delle esportazioni agroalimentari italiane in Cina, che resta tuttavia solo al sessantesimo posto nella graduatoria dei paesi di destinazione del made in Italy agroalimentare: emerge da un’analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Ismea - Istat sul commercio estero relativi ai primi otto mesi del 2005, nel momento in cui la Cina ha annunciato di aver superato l’Italia nel Pil.
I prodotti italiani maggiormente presenti in Cina sono panetteria e biscotti, il vino, la pasta e l’olio vergine di oliva che tuttavia occupano quote di mercato contenute anche per effetto di una forte presenza di prodotti di imitazione realizzati sul mercato cinese, ma anche importati dall’estero.
Una recente “incursione” della Coldiretti nei supermercati della Cina ha consentito di scovare e riportare in Italia alcuni esempi concreti di falso Made in Italy venduti sul mercato locale come l’olio di oliva extravergine “Romulo” con tanto di lupa del Campidoglio e gemelli in etichetta ma proveniente dalla Spagna, ma anche provolone cheese prodotto negli Stati Uniti, autentico Parmesan australiano, conserva di pomodoro "La contadina nello stile di Roma" di origine californiana (Usa) e caciotta e pecorino "naturali e italiani" fatti però stagionare dal latte di mucche e pecore allevate nel distretto di Shanghai e confezionati in Cina con tanto di bandiera italiana.
La breve indagine nei supermercati cinesi ha peraltro dimostrato che i prodotti falsi sono arrivati spesso prima di quelli originali e ne hanno occupato il mercato come dimostra il fatto che non sia stato trovato, forse per semplice casualità, neanche un pezzo di parmigiano reggiano originale nonostante abbia avuto il via libera all'esportazione in Cina, dopo molte traversie. Ma problemi amministrativi impediscono tuttora l’esportazione del prosciutto italiano ed anche di prodotti ortofrutticoli come i kiwi per i quali manca un accordo bilaterale.
Sul piano internazionale la lotta ai pirati del cibo che falsificano l'identità territoriale degli alimenti va condotta nell’ambito del Wto dove il Consiglio è chiamato a prendere misure appropriate entro il 31 luglio 2006, come previsto dalla VI Conferenza Ministeriale che si è chiusa ad Hong Kong. Molto però resta da fare sul mercato interno per rendere più trasparenti ed equilibrati i rapporti commerciali con la Cina dalla quale l’Italia nell’agroalimentare importa per un valore di 14 volte superiore alle esportazioni.
Nell’agroalimentare i pomodori concentrati guidano gli arrivi dalla Cina con un valore delle importazioni nel 2004 di oltre 62 milioni di euro, a breve distanza seguono i fagioli secchi con oltre 19 milioni, gli ortaggi in salamoia con 15 milioni, quelli congelati con quasi 13 milioni, i funghi e i tartufi essiccati con oltre 10 milioni al pari degli ortaggi sottaceto, ma valori consistenti riguardano anche le mele con oltre 4 milioni e con il tasso di crescita piu' elevato. Per quanto riguarda i pomodori e i funghi essiccati per i quali la Cina è il principale fornitore, si tratta di prodotti che arrivano come semilavorati in Italia dove vengono trasformati e/o riconfezionati senza alcuna indicazione per il consumatore perché non è obbligatorio indicare in etichetta il luogo di coltivazione ma solo quello di confezionamento.
Una situazione che impedisce scelte consapevoli e favorisce l’inganno con l’offerta di prodotti apparentemente italiani che tuttavia arrivano da migliaia di chilometri di distanza e per questo si chiede che venga resa al più presto operativa la norma nazionale che rende obbligatorio indicare sulle etichette di tutti gli alimenti la provenienza della componente agricola impiegata.

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