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Cina e fine wine italiani, amore più forte della pandemia: parola di Jeannie Cho Lee e Sarah Heller

“La prima e la più giovane Master of Wine d’Asia: una relazione duratura, fedele ad etichette e regioni ben precise, ma anche un’affermazione sociale”
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Jeannie Cho Lee e Sarah Heller

Pandemia, la parola che ha unito il mondo in questo momento difficile, nell’antica Grecia aveva un significato legato alla passione e all’amore che suscitavano divinità come Eros ed Afrodite. E proprio dove tutto ha avuto inizio, ma dove già la ripartenza è iniziata, c’è una passione alla quale il mondo del vino italiano torna a guardare per il futuro: la Cina, dove l’amore dei collezionisti per i fine wine è più forte della pandemia. Parola di Jeannie Cho Lee, prima Master of Wine d’Asia, e Sarah Heller, la più giovane Master of Wine dell’Asia Pacifica, due tra le voci più influenti del continente asiatico a tu per tu a Wine2Wine by Veronafiere, in diretta web, dall’Asia, mercato fondamentale per l’Italia del vino molto prima dell’emergenza Covid. Una panoramica sull’impatto della pandemia sui consumatori di fine wine cinesi e sulle abitudini di consumo dei collezionisti con base a Hong Kong, Shanghai e Pechino, attraverso i dati di un’overview raccolti con interviste tenute negli ultimi tre mesi da Cho Lee.
Ad emergere, nel complesso, spiega la Master of Wine, “è che la relazione dei consumatori con il vino che amano acquistare e che acquistano regolarmente, è duratura - da almeno 10 anni, quella del campione degli intervistati - e piuttosto forte, basata sulla fedeltà alle etichette o alle proprie regioni preferite, che è stata il punto di partenza per creare una propria collezione, e che neppure un’esperienze negativa riesce a compromettere. In questo momento a subire gli effetti della pandemia sono piuttosto i modelli di acquisto, perché molto legati alle circostanze sociali. A Pechino e Shanghai i cinesi sono tornati a mangiare fuori, mentre ad Hong Kong la quarantena è ancora stretta e non sappiamo per quanto durerà, e questo incide sugli acquisti di vino che non sono destinati alle occasioni sociali ma al consumo personale, con influenze anche sui prezzi, che ad Hong Kong sono più bassi, mentre in Cina stanno risalendo perché le persone si sentono liberate e hanno di nuovo voglia di acquistare e socializzare. Un effetto a cui stiamo assistendo in tutto il mondo, e che sarà di lungo termine”.
Quello che sta accadendo ad Hong Kong “è che le persone acquistano per sé, più disposte a sperimentare ed osare, ma prestando meno attenzione al prezzo - spiega Cho Lee - quando invece lo si fa per un’occasione di socialità si sta più attenti, per incontrare il gusto del proprio ospite cui offrire un buon vino acquistato anche ad un buon prezzo. Seppur limitate e ristrette, in Cina queste occasioni sono ora di nuovo concesse, con amici o colleghi di lavoro, e si punta soprattutto su etichette note che possono essere riconosciute ed apprezzate dai propri ospiti, mentre quando si acquista per sé ci si lascia influenzare di più anche dalle raccomandazioni di un amico su questo o quel produttore siciliano, o magari su un vino toscano di una nuova cantina. La sfida, in questo momento, è raggiungere queste persone e cogliere i loro interessi, che in moltissimi condividono online, nelle tantissime conferenze che vengono fatte. Per i produttori è facile mantenere i contatti con i consumatori che già conoscono, ma la concorrenza si è fatta molto aggressiva”.
Se nel caso di vini destinati al consumo personale o a momenti di socialità con amici ristretti, 40 dollari a bottiglia rappresentano un buon prezzo, per le occasioni sociali dipende molto dai veri e propri “circoli” di appassionati che si frequentano: ne esistono anche che bevono solo vini di Borgogna, per esempio. “Ma la sensazione che emerge dalle interviste sul futuro dei vini di qualità è positiva - secondo Cho Lee - perché c’è un grande coinvolgimento da parte dei collezionisti, che nella loro cantina vantano anche 1.000 bottiglie, e che una volta che hanno iniziato a collezionare non lasciano più questa passione. A differenza di molti altri hobby, quella con il vino è una relazione a lungo termine, che richiede di investire molto tempo, e che lo fa diventare un elemento fondamentale della loro vita, come un amico che fa compagnia, con il quale rilassarsi anche e soprattutto nella quarantena, e che, per di più, si può scegliere e cambiare di continuo”.
Nella maggioranza dei casi si tratta di collezionisti con oltre 500 bottiglie, molti giovani sui 40 anni, tra chi sta ancora esplorando e solo quando assaggerà un Barolo che gli aprirà gli occhi inzierà una vera collezione, ma c’è anche chi colleziona vini da 40-50 anni pur non riuscendo più a replicare l’esperienza della prima volta. “Non ci sono molti collezionisti seri di vino italiano - riconosce la Master of Wine - ma analizzando i loro profili emerge che il motivo per cui hanno cominciato è la soddisfazione personale o perché frequentano “circoli” di appassionati ben definiti. Il vino francese ha sempre dominato il mercato dei collezionisti, e se quasi la metà degli intervistati pur dichiarandosi un fan del vino italiano non ne acquista molto, lo fa soprattutto per sé, in mancanza di un’occasione sociale per condividerlo. Occasioni in cui la maggioranza delle persone è ancora molto affezionata soprattutto ai grandi vini di Bordeaux”.
C’è poi un altro aspetto fondamentale, che è quello dei fine wine come fonte di investimento. E ci sono state performance in questo senso dei grandi vini piemontesi, per esempio, che hanno superato anche quelle francesi, e che dimostrano l’interesse verso il vino italiano. “Sicuramente i cinesi, quelli più abbienti vogliono comprare in modo intelligente, ma non fare di una collezione una fonte di reddito. A muoverli è la passione. Chi influenza le tendenze? La Borgogna è una regione che ha sempre dettato le tendenze, e la domanda per i suoi vini è sempre alta. Oggi ci sono meno critici e pubblicazioni cui fare riferimento, e tutto dipende soprattutto dal mercato che sa il valore dei vini e si autoregola tra offerta e domanda. Ci sono poi le referenze selezionate degli importatori, e le aste, che, nella pandemia, come molti degli acquisti di vino, si sono trasferite online, dove tutti si sentono più a loro agio e in sicurezza. Una tendenza che l’emergenza ha contribuito solo ad accelerare, e che continuerà anche in futuro, dettata dai Millennial e dalla GenerazioneZ che si sentono perfettamente a loro agio sul web. Negli ultimi anni le aste di Hong Kong sono state un successo anche come grandi eventi, momenti di socialità che ora possono spostarsi in rete. Se fossi un importatore di vini investirei in una piattaforma che consenta di aggiudicarsi un vino con un solo e semplice click”.

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