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COMMERCIO: A TAVOLA IL FALSO MADE IN ITALY COSTA 4,2 MILIARDI DI EURO. COSI’ LA COLDIRETTI

L’inganno del falso made in Italy a tavola dovuto alla vendita in Italia di prodotti alimentari pagati come italiani senza esserlo per la mancanza dell’obbligo di indicare l’origine in etichetta costa ben 4,2 miliardi. Lo stima la Coldiretti nel sottolineare che in Italia gli inganni del finto made in Italy riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta che è ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori e la metà delle mozzarelle non a denominazione di origine che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere.

Quasi la metà degli italiani (47%) ritiene un alimento realizzato con prodotti coltivati o allevati interamente in Italia valga almeno il 30% in più, secondo l’indagine Coldiretti/Swg. La superiorità del made in Italy alimentare è attribuita nell’ordine al rispetto di leggi piu’ severe, alla bontà e freschezza e alla garanzia di maggiori controlli.

La fiducia degli italiani nel Made in Italy rispetto ai prodotti stranieri è massima per l’alimentazione (92%) e la moda (63%), ma rimane alta anche per l’arredamento (48%) e i prodotti di bellezza (48%) mentre scende per l’auto (23%) e per apparecchi elettronici, computer o elettrodomestici (16%). In generale, per quanto riguarda la qualità, i concorrenti più temibili del made in Italy, secondo i consumatori italiani sono i francesi e i tedeschi mentre all’ultimo posto si classificano i cinesi. La situazione è diversa per l’alimentare dove, a differenza degli altri settori, i prodotti italiani - rileva la Coldiretti - sono giudicati di gran lunga superiori rispetto a quelli provenienti dai diversi paesi esteri mentre i prodotti tecnologici perdono con i giapponesi e la moda pareggia con i francesi.

Da rilevare che più di otto italiani su dieci (84%) sono d’accordo sul fatto ritiene che - continua la Coldiretti - per rilanciare l’economia oggi sia necessario comperare prodotti fatti interamente in Italia. L’attenzione all’origine del prodotto è evidenziata dal fatto che - sottolinea la Coldiretti - ben il 97% degli italiani ritiene che dovrebbe essere sempre indicato il luogo di allevamento o coltivazione dei prodotti contenuti negli alimenti.

Il pressing della Coldiretti ha portato all’obbligo di indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca, all’arrivo, dal 1 gennaio 2004, del codice di identificazione per le uova, all’obbligo di indicare in etichetta, a partire dal 1 agosto 2004, il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, all’obbligo scattato il 7 giugno 2005 di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco, all’etichetta del pollo made in Italy per effetto dell’influenza aviaria dal 17 ottobre 2005 e all’etichettatura di origine per la passata di pomodoro, a partire dal 1 gennaio 2008. Dal 1 luglio è arrivato anche l’obbligo di indicare l’origine delle olive impiegate nell’extravergine, ma molto resta ancora da fare e per oltre il 50% della spesa - ha concluso la Coldiretti - l’etichetta resta anonima per la carne di maiale, coniglio e agnello, per la pasta, le conserve vegetali, ma anche per il latte a lunga conservazione e per i formaggi non a denominazione di origine.

“Mettere in trasparenza la provenienza di quanto portiamo in tavola non solo aumenta il potere contrattuale delle imprese agricole, ma protegge dalle psicosi nei consumi provocate anche da emergenze in paesi lontani e fornisce un servizio essenziale ai cittadini consumatori poiché favorisce i controlli e consente di fare scelte di acquisto consapevoli” afferma il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che si tratta di “una battaglia che finalmente è oggi condivisa dalle Istituzioni ed è quindi più che mai è necessario riaffermare e sostenere il percorso iniziato per far uscire dall’anonimato oltre la metà della spesa alimentare degli italiani per la quale non è ancora obbligatorio indicare la provenienza”.

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