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DAL 4 FEBBRAIO

Con Bacco sul carro trionfale, il “Carnevale di Viareggio” celebra 150 anni e le origini della festa

Un invito a tornare a godere dei piaceri della vita, come nei “Canti carnascialeschi” di Lorenzo Il Magnifico. Vittorio Sgarbi: “un Carnevale di mare”

Viareggio, 25 febbraio 1873, “Martedì Grasso”: con un manifesto rogato da un fantomatico notaio “Chiassone” inizia la storia di uno dei Carnevali più spettacolari al mondo, ideato da un gruppetto di giovani gaudenti della buona società viareggina al solo scopo di divertirsi e far divertire il pubblico “con il dovuto rispetto”. La giuria composta dai signori “Imparziale”, “Intendente” e “Buongusto” incoronerà la maschera più bella della sfilata di carrozze addobbate a festa in Via Regia, nel cuore della città vecchia, “con un’immensa quantità di bottiglie di vini esteri e nazionali sia bianchi, rossi o neri”. È passato un secolo e mezzo da allora, e Bacco ci sarà, nei panni di “Re Carnevale” in trionfo tra i giganti in cartapesta sui carri allegorici più grandi al mondo che sfileranno sui Viali a Mare, anche per festeggiare i 150 anni di storia del “Carnevale di Viareggio 2023” (4-25 febbraio).
Un’edizione storica, nella quale “Carneval Divino”, il grande carro allegorico del maestro carrista Luca Bertozzi, sarà un vero e proprio omaggio ai valori simbolico-tradizionali delle origini della festa, con la quale anticamente si celebrava la fecondità della terra che si risveglia dal sonno invernale, con il riso, che sconfigge la morte e il lutto, e con l’invito a godere dei piaceri della vita consapevoli della loro fugacità, e tra i quali c’è anche la tavola, prima della periodo di penitenza e digiuno quaresimale. “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia ! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non c’è certezza”, cantava già, in pieno Rinascimento, Lorenzo Il Magnifico, a Firenze, in quella stessa Toscana “patria” del “Carnevale di Viareggio”, e nel più famoso tra i canti carnascialeschi: “Il trionfo di Bacco e Arianna”. E su un carro “agricolo”, decorato con enormi grappoli d’uva, da un grande tino, spunterà la testa di Bacco “Re Carnevale”, tra satiri e ninfe e sulle note del “Er tranquillante nostro” di Gigi Proietti, di “Libiam ne’ lieti calici” de “La Traviata” di Giuseppe Verdi e di tante opere del grande compositore lucchese Giacomo Puccini.
“Il Carnevale di Viareggio è un Carnevale di mare, e i carri sono come barche, e gli uomini si fanno pesci, perché nel nome c’è l’uno e l’altro - spiega il celebre critico d’arte Vittorio Sgarbi, Sottosegretario alla Cultura (su “Io Donna” del “Corriere della Sera”) - “Carnes levare” (togliere la carne), come nel giorno precedente la quaresima, in cui si cessava di mangiar carne, o “Carne vale” (carne, addio), ma anche, con non minor forza delle parole, “carrus navalis” (da cui in seguito “car naval”), una nave-carro su ruote trainata durante le processioni delle festività di febbraio in epoca imperiale e che sarebbe continuata fino al Medioevo. Nel caso di Viareggio, l’origine etimologica è sicuramente la seconda”.
I 150 anni del “Carnevale di Viareggio”, dal primo manifesto ottocentesco de “La Società del Carnevale” (conservato all’Archivio di Stato di Lucca), alla comparsa di carri trionfali modellati da scultori locali ed allestiti dai carpentieri e fabbri dei cantieri navali a inizio Novecento quando la sfilata si trasferisce nello straordinario palcoscenico liberty della Passeggiata a mare, dal secondo Dopoguerra, quando dalla distruzione rinasce la creatività grazie alla fantasia degli artisti della cartapesta, alla prima diretta tv nel 1954, che è anche la prima diretta nazionale in esterna della Rai (quest’anno andrà in onda uno speciale su Rai 3 il 5 febbraio, ndr), alla nascita della Lotteria Nazionale di Viareggio abbinata ai carri più belli nel 1984 e della famosa Cittadella, la “fabbrica” del Carnevale, nel 2001, sono ripercorsi nella mostra “Che la Festa cominci …”: inaugurata da Sgarbi e curata da Roberta Martinelli, direttrice del Museo del Carnevale, è ospitata nella Gamc-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Viareggio fino al 30 aprile, e rievoca l’evoluzione stessa del Carnevale dal secolo XVII al secolo XIX, con oltre 70 opere tra dipinti, disegni e incisioni di importanti artisti, che, dietro le maschere, raccontano vizi e virtù della società, a partire dal seicentesco “Il carro d’oro” di Paul Schor della Galleria degli Uffizi di Firenze e dalle carrozze dalle quali i signori gettavamo dolciumi e cibarie alla folla. Ma ci sono anche oltre 60 opere tra pitture e sculture, di nomi come Dario Fo, della collezione della Fondazione Carnevale di Viareggio esposta per la prima volta a Villa Paolina, che fu residenza di Paolina Bonaparte, nella mostra “Carneval Art. Quando l’arte racconta il Carnevale”; “Costumi Costume. Collezione dell’Atelier Anna e Giorgio White”, rievocazione di un Veglione di Carnevale nell’atmosfera liberty di Villa Argentina con i costumi della celebre sartoria teatrale di Viareggio, che tra i clienti illustri vanta Federico Fellini e Franco Zeffirelli; ma anche “Linus tutti i numeri dal 1965 al 2022”, la mostra dello storico fumetto con un numero speciale dedicato proprio al Carnevale di Viareggio sempre alla Gamc, accanto alle opere ispirate al Carnevale di artisti come Giò Pomodoro, Sebastian Matta, Emilio Tadini, Igor Mitoraj, Arnaldo Pomodoro, Joe Tilson e Ugo Nespolo.
Ma, nel 2023, discostandosi in parte dalla tradizione che fin dall’epoca romana fa dei carri di Carnevale anche uno strumento di propaganda politica e presa in giro del potere con l’allegoria e il linguaggio della satira che riescono a raccontare la contemporaneità - è il 1960 quando i grandi del mondo salgono per la prima volta in quelli di Viareggio, con il Presidente Usa Dwight D. Eisenhower, il Premier sovietico Nikita Krusciov, il Presidente della Repubblica francese Charles de Gaulle e il Primo Ministro inglese Harold Macmillan tutti al lavoro per cercare un difficile equilibrio pacifico - i politici non saranno tra i protagonisti della sfilata del “Carnevale di Viareggio”, anche se il tema, come in passato e come nel 1973 per i suoi primi 100 anni di storia, saranno ancora una volta i “Sogni, speranze e desideri di un mondo migliore” senza guerra, crisi economiche, inflazione, tensioni sociali e politiche, e in cui la pandemia sia solo un brutto e lontano ricordo. Un mondo rovesciato, insomma, come è proprio del Carnevale.
“Perché la festa è anche fare la festa a qualcuno, prenderlo in giro. I volti dei contemporanei irrisi si fanno maschere e si confondono con le maschere”, scrive Sgarbi ripercorrendo l’origine delle maschere, dal ghiottone scaltro alla servetta astuta del teatro classico, alla nascita delle maschere italiane a Venezia, ricordate fin dal Duecento, e poi adottate dalla Commedia dell’Arte, quando ebbero la massima diffusione nel Settecento grazie ai personaggi delle opere di Carlo Goldoni, da “La bottega del caffè” a “La locandiera”, da “La trilogia della villeggiatura” a “Le baruffe chiozzotte”. Ancora oggi, allo stesso modo in cui, tra frittelle, cenci e “ondine” - tipiche di Viareggio - ma anche frappe, chiacchiere, castagnole, fritole, il berlingozzo, zeppole, graffe e il migliaccio, dal Nord al Sud del Belpaese, ogni cucina regionale ha il suo dolce di Carnevale, le maschere sono simbolo delle tradizioni di città e Regioni: dal piemontese Gianduia al bergamasco Arlecchino, dai veneziani Pantalone e Colombina al milanese Meneghino, dal toscano Stenterello al romano Rugantino, dal napoletano Pulcinella al siciliano Peppe Nappa, servitori amanti della buona tavola come i loro padroni, dove il vino non manca mai. Vino che con il Carnevale ha un legame strettissimo, dai “Baccanali” di origine greca, ai “Saturnalia” di epoca romana nei quali si festeggiava con conviti e banchetti l’abbondanza dei doni della terra.
Maschere tra le quali, a partire dal primo manifesto che li raffigura nel 1931, entrano a far parte anche Burlamacco e Ondina, simboli del “Carnevale di Viareggio”. E se Ondina rappresenta l’estate, la “stagione d’oro” della città della Versilia, il nome Burlamacco, disegnato dall’artista viareggino Uberto Bonetti come ultima maschera della Commedia dell’Arte, deriva dal canale del porto viareggino, il Burlamacca, e dal Buffalmacco di Boccaccio, orditore di burle e beffe nel “Decameron”, come l’invenzione della meravigliosa terra di Bengodi, “nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua”.

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