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L’ALLARME

Contraffazione, un “furto” da 15 miliardi di dollari all’anno al mercato dei fine wines

“Wine2Wine”, focus sul fenomeno con l’esperta Maureen Downey, fondatrice di “Chai Vault”. “Strumenti sempre più efficaci, servono investimenti”
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Contraffazione, un “furto” da 15 miliardi di dollari all’anno al mercato dei fine wine

Per contraffare bene qualsiasi cosa ci vogliono una gran fantasia, tecnologie avanzate, molto denaro e antenne sintonizzate sui trend di mercato. Dove c’è un successo, per qualsiasi tipo di prodotto, vino incluso, ci sono margini di guadagno. Ergo la contraffazione, quella di livello, è redditizia. Nel mondo è cresciuta una contraffazione professionale che “tarocca” non solo i fines wines, ma anche vini di prezzo contenuto, ma numericamente molto importanti, come per esempio è accaduto agli australiani Yellow Tail. Si parla di un fenomeno, quello della contraffazione, il cui valore a livello mondiale è stimato in 50 miliardi di dollari per i fine spirits, che è il segmento più colpito, e 15 miliardi di dollari se i guarda ai fine wine. Non solo. Gli strumenti attualmente a disposizione per l’identificazione del vino sono da considerare soltanto “cosmetici”, non efficaci e, probabilmente, la maggior parte dei produttori non ne è del tutto consapevole. A sottolinearlo, a “Wine2Wine”, è stata Maureen Downey, fondatrice di “Chai Vault”, uno dei più esperti autenticatori di vino al mondo facendo il quadro della contraffazione e dello stato dell’arte degli strumenti per ostacolarla.
“Le soluzioni anti frode sul packaging non sono sufficienti - ha sottolineato Maureen Downey - e sempre più facili da falsificare, spesso non visibili al venditore e ai consumatori. Si tratta di sistemi che riguardano singoli aspetti, come i codici Nfc e Qr, utili per interagire con il consumatore utilizzati in prossimità della bottiglia, e o la blockchain, che facilita il processo di registrazione delle transazioni e di tracciamento. Sistemi che non forniscono informazioni sulla provenienza. Nulla che la criminalità organizzata non possa aggirare, visto che ormai lavora su scala industriale. Queste organizzazioni hanno adottato tecnologie all’avanguardia investendo capitali enormi. La contraffazione è arrivata a un livello di dettaglio incredibile. Una gang cinese ha recentemente “invaso” Londra con vini contraffatti di fascia bassa di prezzo. Puntano a falsificare qualsiasi vino che abbia successo. È come nel film “Lo Squalo”, pensi di essere al sicuro e invece...”.
Qualche esempio di truffa ben al di là della semplice riproduzione di etichette, oggi per inciso sempre più simili a quelle originali, è il ri-riempimento di bottiglie originali di cui esiste un vero e proprio mercato, l’apposizione di “protesi” di plastica trasparente sul fondo delle bottiglie per simulare il rilievo sul vetro del nome delle aziende, la riproduzione degli ologrammi, delle fascette di Stato apposte sui nostri vini Docg e anche su alcuni Doc, delle “micro writing” quasi invisibili apposte proprio in funzione anticontraffazione sulle etichette di alcuni fine wines. Peraltro, a latere della contraffazione esiste anche un importante fenomeno relativo al mercato parallelo di vini che viene punito solo con piccole multe.
“Perché una soluzione antifrode abbia successo - ha concluso Downey - deve essere costruita a “strati”, cioè prevedere diversi livelli integrati di controllo, e immutabile nel tempo. Deve provare l’autenticità e la provenienza del vino per ogni singola bottiglia, trasferibile, indipendente e fruibile dai consumatori”. Così come garantisce la rete mondiale di certificazione della sua società. Uno dei sistemi per garantire la tracciabilità della bottiglia è l’introduzione di un chip Nfc nella capsula (si tratta di capsule predisposte) o nell’etichetta. Più complesso è invece tracciarne l’autenticità. “In questo caso - spiega Giampiero Nadali, digital marketer in Fermenti Digitali, per rendere comprensibile la cosa ai più - per attestare l’autenticità della bottiglia è necessario adottare più strumenti contemporaneamente in modo che collaborino tra di loro. Virtualmente viene assegnata ad ogni bottiglia una identità che, impropriamente, possiamo chiamare “impronta digitale”. Poi c’è bisogno di un altro passaggio perché se la blockchain dà una identità unica e assoluta a “oggetti” digitali, nel caso di prodotti tangibili c’è bisogno di una integrazione fisica, che si ottiene acquisendo ulteriori dati, come ad esempio la foto dell’etichetta, che vanno a completare le informazioni che ne definiscono l’identità, che sempre più spesso devono essere disponibili e integrati anche nei sistemi di vendita online”. Il costo del chip per attestare la tracciabilità ha un costo intorno ai 20 centesimi a bottiglia, mentre per il sistema che attesta l’autenticità sale a 1 euro e richiede un impianto di imbottigliamento opportunamente attrezzato.
“Si tratta di un prodotto ancora costoso e probabilmente per questo solamente i vini super premium potranno accedere a questa tecnologia - ha commentato Anselmo Guerrieri Gonzaga, patron della cantina trentina di San Leonardo 1724, tra le griffe del vino italiano e dei fine wine - ma è certamente importante per tracciare il vino sul mercato e garantirne l’autenticità. la tracciabilità del mercato. È importante per noi produttori comprendere, come è emerso dall’intervento di Maureen Downey, che il mondo della contraffazione va ben oltre la riproduzione dell’etichetta e che c’è una infinità di altri aspetti oscuri, dalla distribuzione al riempimento di bottiglie originali con vino differente. Inoltre ci ha dimostrato che molte delle tecnologie esistenti riguardano più il marketing della bottiglia che una reale protezione dalla contraffazione”.

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