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Convegno Confagricoltura - Il “bio” tricolore cresce, “tira”, vince e convince sul mercato interno ed estero, con il 74% delle aziende del settore che esporta - ma non mancano peculiarità e divari (anche rilevanti) tra regioni

Non Solo Vino
Il biologico italiano cresce, vince e convince sul mercato interno ed estero

Nonostante la tutto sommato limitata disponibilità di terra coltivabile nel nostro Paese, o forse proprio a causa di essa, lʼagricoltura ad alto valore aggiunto continua a mietere consensi sia di mercato che di iniziativa privata in Italia - anche al di là del comparto vino, che ne è tradizionalmente la punta di lancia. Lʼagricoltura tricolore è stata infatti capace, complice il fascino delle produzioni alimentari “Made in Italy”, di convertirsi in maniera rilevante e veloce al settore delle produzioni biologiche, e a oggi può vantare quasi due milioni di ettari coltivati, dimensioni aziendali medie di cinquanta ettari e quasi i tre quarti di queste ultime (il 74%) che è attivo sui mercati internazionali da più di un quinquennio. Inoltre, il mercato del biologico in Italia vale più di 2 miliardi di Euro solo in Italia, e le superfici “bio” hanno raggiunto ben lʼotto per cento della superficie agricola nazionale.

I dati sono emersi dal convegno di Confagricoltura “Agricoltura biologica: le nuove sfide per un mercato che cresce” che si è svolto oggi a Roma - dal quale emerge un panorama senzʼaltro lusinghiero del settore, ma che si mostra comunque frastagliato e non privo di peculiarità. Se infatti “le aziende bio associate a Confagricoltura sono il 15% del totale, e coltivano più di un quarto degli ettari dedicati a biologico in Italia, ovvero 480 mila ettari”, come puntualizzato dal Presidente della Federazione Nazionale dell’agricoltura biologica di Confagricoltura Paolo Parisini, rimane il fatto che secondo il presidente Confagricoltura Mario Guidi “in tema di controlli, periodicamente si sono riscontrati comportamenti scorretti legati soprattutto alla fase di importazione di prodotti dall’estero. Il sistema d’importazione - ha puntualizzato Guidi - prevede solo l’equivalenza con i sistemi di controllo dei paesi extra UE, e non la conformità; in tal modo si permette ai produttori stranieri di utilizzare metodiche di produzione che in Europa non sono ammesse. Con la conseguenza di danni competitivi per le aziende bio europee ed italiane e rischi per la sicurezza alimentare”. Altro dato peculiare, i divari tra regioni in termini di utilizzo dei fondi dei Piani di Sviluppo Regionali (Psr): dall’analisi dei 21 piani emerge infatti che vi sono regioni in cui la misura per il biologico incide per circa il 20% dei budget totali, come Calabria e Sicilia, ed altre in cui questa incidenza è estremamente limitata, come nel caso di Veneto, Campania, Lombardia e Piemonte - che investono nel biologico tra l’1,2 ed il 2,5% del budget complessivo.

Ad ogni buon conto, i dati sullʼexport fanno decisamente ben sperare per i prossimi anni: oltre il 74% delle aziende è presente sui mercati internazionali da oltre 5 anni, e i principali mercati sono la Germania (24%), la Francia (20%) e i paesi del Nord Europa in generale. Il primo mercato extra UE è quello degli Usa (4%), e frutta e la verdura fresca rappresentano i primi prodotti di esportazione (20%), seguiti a sorpresa dai prodotti sostitutivi del latte (bevande vegetali, soia e così via) con il 16%. Nell’incontro si è sottolineato come l’Unione Europea creda fortemente in questo metodo produttivo, che tutela non solo lʼambiente ma anche la salute umana e gli animali. E rientra in questʼottica la decisione di Bruxelles, che ha sancito che le aziende biologiche destinatarie dei pagamenti diretti ricevano ipso facto la componente ambientale obbligatoria, il cosiddetto ‘greening’, che ammonta al 30% del massimale. Misura che, si presuppone, non farà che incentivare ulteriormente investimenti nel comparto. Infine, la ricerca, a cui il piano strategico nazionale per l’agricoltura biologica, recentemente approvato, assegna notevole importanza. “La ricerca - ha sottolineato Guidi - è fondamentale per lo sviluppo del settore al fine di contrastare ad esempio i cambiamenti climatici, che causano diminuzione di produttività; utilizzare le specie autoctone proteggendo e valorizzando al tempo stesso la biodiversità e il miglioramento varietale, è una via da percorrere”.

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