Premiumisation: è la parola magica che ormai sembra guidare investimenti ed obiettivi di tutti i grandi gruppi, del lusso come del beverage, alle prese con un cambiamento epocale, una rivoluzione dei consumi che premia sempre più la qualità, in un contesto in cui, specie nel mondo occidentale, si beve meno, ma evidentemente meglio. Così, come anticipò a WineNews Margareth Henriquez (in questa intervista), ceo di Krug e della divisione vino di Moet Hennessy (Lvmh), il gigante del lusso francese ha tutta l’intenzione di ampliare il proprio portafoglio, che conta già marchi di assoluto prestigio, come Chateau d’Yquem, Dom Pérignon, Ruinart, Moet & Chandon e Veuve Cliquot. Magari puntando, oltre che sulla Francia, sul Belpaese, magari sul Brunello di Montalcino, o su altre grandi denominazioni del Belpaese enoico, ipotesi tutt’altro che peregrina. La certezza, invece, è che la divisione vino avrà una fisionomia diversa, riunendo sotto un’unica regia commerciale tutti i marchi del gruppo, come spiegato in una nota ufficiale, sotto il controllo diretto del presidente Bernard Arnault. Dall’altra parte dell’Oceano, risuona più o meno la stessa musica. Constellation Brand, uno dei più grandi gruppi del beverage al mondo, proprietario, tra gli altri, della birra Corona e della storica realtà Chiantigiana Ruffino, ha le idee altrettanto chiare sul futuro: via i marchi del vino di fascia bassa, a partire dalle aziende americane (si parla di quasi il 40% del portafoglio, e dei vini che finiscono a meno di 10-11 dollari allo scaffale, ndr) con l’obiettivo di raccogliere grosso modo 3 miliardi di dollari, da reinvestire sul segmento più alto della produzione enoica.
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