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Dalla Cina a Bra, da Terra Madre ad Arcigola, da un’utopia possibile alla rivoluzione del cibo buono, pulito e giusto, dal futuro agli inizi. È la storia di Slow Food, raccontata da Carlo Petrini e Gigi Padovani nella sua prima biografia ufficiale

Non Solo Vino
Carlo Petrini e Gigi Padovani raccontano la storia di Slow Food. Con il contributo di WineNews

Utopia, rivoluzione, marcia, manifesto, leader. Parole dal sapore d’antan, alle quali c’è chi, declinandole in una nuova filosofia del cibo, dà ancora gusto: Slow Food. Nata nel 1986 a Bra come Arcigola, e oggi diffusa in 160 Paesi del mondo, la più importante associazione internazionale no profit impegnata a livello globale a ridare giusto valore al cibo “buono, pulito e giusto”, è arrivata fino in Cina per affrontare temi come la qualità delle materie prime e del lavoro che sta dietro la loro produzione, la difesa dell’ambiente e della biodiversità, lo sviluppo sostenibile e il futuro della Terra, riunita per la prima volta in Congresso internazionale a Chengdu. Se non è un’utopia possibile questa. Alla base, c’è una trasformazione, che nel nome di grandi ideali in soli 30 anni - pochi, tutto sommato, per chi dell’elogio della lentezza ha fatto un simbolo - ha cambiato per sempre il nostro modo di intendere ciò che mangiamo. Una lunga e faticosa marcia, fatta di migliaia di persone, contadini, artigiani, studenti, intellettuali, militanti, ma anche politici e imprenditori, che nelle tappe che hanno visto la nascita del Salone del Gusto, di Terra Madre, dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (e di orti in ogni scuola, in Africa, fino alla Casa Bianca, aggiungiamo noi), è diventata sempre più affollata, “abbracciando” i contadini cinesi e il Principe Carlo, “benedetta” da Papa Francesco, tutti conquistati da quello che oggi è un “bene comune” ed una speranza per migliaia di giovani. Questo indicava il Manifesto (su “Il Gambero Rosso”, ne “il Manifesto” del 3 novembre 1987), e, soprattutto, il leader carismatico che ne ebbe l’intuizione: Carlo Petrini, tra i “50 uomini che potrebbero salvare il Pianeta” per The Guardian, che, in conversazione con il giornalista Gigi Padovani, ripercorre la storia in “Slow Food. Storia di un’utopia possibile” (Giunti - Slow Food Editore, settembre 2017), prima biografia ufficiale del movimento, da pochi giorni in libreria. Sempre pochi giorni fa, guardando al futuro da Bra dove tutto ebbe inizio, il fondatore e presidente internazionale di Slow Food, ha lanciato l’ultima battaglia, “Menu for Change”, prima campagna di comunicazione e raccolta fondi nella lotta al cambiamento climatico in relazione alla produzione alimentare.
Quando, tempo fa, WineNews ha chiesto a Petrini il futuro di Slow Food, la sua risposta è stata chiara: i giovani. Giovani pieni di ideali e passione, come lo erano il fondatore della Chiocciola, e quelli dell’Arci Langhe di Bra e della Libera e Benemerita Associazione degli Amici del Barolo, poi Arci Gola, prima e dopo il processo di Montalcino, dove erano arrivati per accrescere la loro cultura enologica. La storia che segue è (arci)nota, e comunque raccontata, analizzata e commentata pagina dopo pagina nel volume (pagine 356, prezzo di copertina 18 euro; www.giunti.it - www.slowfoodeditore.it), con tante curiosità - è del 2005 l’invenzione del mantra del cibo buono, pulito e giusto che tutti abbiamo il diritto di mangiare, oggi tradotto in tutte lingue del mondo, dopo la prima edizione di Terra Madre, o il botta-risposta tra Petrini e Papa Francesco in versione integrale - e testimonianze che contribuiscono a spiegare come Slow Food abbia cambiato per sempre il modo di intendere il cibo e il vino. “Alla fine degli anni Ottanta incominciammo a lavorare con un’azione di comunicazione e di marketing dedicato ai territori del vino e della gastronomia di qualità - raccontano Alessandro Regoli e Irene Chiari, tra i giovani allora affascinati da quei nuovi argomenti e che nel 2000 avrebbero aperto il primo giornale italiano online di racconto del vino, WineNews - capimmo che non si poteva parlare soltanto di aziende, ma dovevamo raccontare gli uomini in cantina e le loro storie, la bellezze dei paesaggi e lanciare idee e progetti con chi allora aveva capito la nuova filosofia portata da Arcigola Slow Food. Si parla tanto di storytelling del made in Italy, ma il modo di narrare è nato in quegli anni.
Racconta Roberto Burdese, ex presidente della Chiocciola: “Slow Food ha spaccato il terreno dove poi tanti hanno seminato. Noi abbiamo lanciato la nostra sfida a far diventare popolare il tema dell’alimentazione in modo che non restasse soltanto retaggio delle élite gastronomiche e sociali. Potrei dire che questa cultura si è diffusa nella grande distribuzione e nell’industria. Siamo come un virus, benigno s’intende, che ha contaminato tante situazioni e tanti soggetti”. Vero, verissimo. Anche l’industria può essere buona per le persone e il pianeta dice Guido Barilla, e un caffè deve essere anche giusto sostiene Giuseppe Lavazza. Oscar Farinetti ricorda come “Petrini mi disse: Eataly non mi piace, chiamalo Vatel. Per fortuna, non cambiai idea ...”. Accanto, ovviamente, agli chef che scoprendo Slow Food, hanno per sempre cambiato paradigma, da Gianfranco Vissani a Ferran Adrià, alleandosi con i produttori locali. Slow Food ha convertito persino Autogrill e resta aperta la domanda se lo stesso stia avvenendo con McItaly. “Carlin - testimonia Angelo Gaja - ha sempre lottato affinché fosse riconosciuta l’importanza dell’attività agricole e, attraverso l’organizzazione che presiede, ha fornito anche gli strumenti per consolidare la dignità del lavoro dei contadini e dei produttori”.
“Grazie a Slow Food oggi la spesa è cambiata” - la scommessa dei Presìdi era quella di far ripartire piccole economie innescando meccanismi di sviluppo locale, far capire ai consumatori di pagare un po’ di più per avere più qualità, e coinvolgere il leader della gdo italiana, la Coop - e “si leggono molto di più le etichette” ed è anche merito della Chiocciola “se oggi si cercano le specialità bio”. Spiega Padovani: “oggi Slow Food ha sedi strutturate in più di 10 Paesi. È presente con una rete operativa in 160 Paesi; ha istituito due Fondazioni, per la Biodiversità e Terra Madre, e l’Università di Pollenzo, primo ed unico Ateneo del cibo. Il bilancio aggregato di tutte le attività che fanno capo alla Chiocciola è intorno ai 24 milioni di euro l’anno, cifra che non include il fatturato delle singole Associazioni nazionali e delle strutture locali, Condotte (sono 1.500) e comunità del cibo nel mondo, il bilancio dell’Università (8,5 milioni di euro) e l’indotto economico generato per esempio dai Presìdi (2 milioni di euro l’anno). Si calcola che la rete di Terra Madre - che comprende anche orti comunitari e scolastici, ristoranti dell’Alleanza e Mercati della Terra - raggiunga tra 600.000 e 1 milione di persone, sparse in 2.500 comunità del cibo, ben oltre i 100.000 iscritti nelle realtà Slow Food organizzate ancora secondo la logica di partiti e sindacati. Chi aderisce al network opera in autonomia, collaborando alle campagne mondiali del movimento”. Il risultato è che ogni quarto d’ora nel mondo c’è un evento della Chiocciola. Slow Food ha uffici a Bruxelles, ed è accreditata nei Palazzi dell’Unione Europea. Petrini è Ambasciatore Speciale della Fao per Fame Zero, e autore della “guida alla lettura” dell’Enciclica Laudato si’ del Pontefice per le Edizioni Pauline.
Il futuro? Riflette Padovani: “Slow Food potrebbe essere addirittura vittima del suo successo. La governance di tutta la rete è sempre più difficile e dal quartier generale nel Sud del Piemonte si è abbandonata l’idea di dirigere dall’alto tutta la struttura, bensì si vuole aiutare la diffusione e il lavoro dei tanti gruppi autonomi che sorgono in ogni angolo della Terra”. Così spiega il nuovo corso, Petrini: “Slow Food si deve destrutturare diventando un movimento di natura inclusiva: un’organizzazione aperta sulle grandi idee del movimento; vi si aderisce e ciò comporta la partecipazione alle campagne decise. Il nostro “marchio” è un bene comune, quasi non ci appartiene più. Che cosa conta? I beni relazionali sono importanti. Si tratta delle relazioni di fiducia, di cooperazione, di reciprocità che nascono nella nostra rete. È quella che io definisco l’intelligenza affettiva che si sviluppa quando ci riuniamo e parliamo. Ma attenzione, come ci battiamo per salvare la biodiversità del pianeta, così dobbiamo rispettare la biodiversità culturale e organizzativa delle varie anime e realtà territoriali di Slow Food. Spesso si cita il concetto di “egemonia” di gramsciana memoria. Io sono cresciuto in un certo momento storico, i miei punti di riferimento sono quelli. Però Antonio Gramsci spiega che l’egemonia non si deve basare sulla forza, sul dominio, sul governo, ma sull’influenza sociale”. Per essere egemonici, appunto, non ci si deve irrigidire in una struttura. Inclusività è la nuova parola d’ordine, e ogni giorno negli ultimi tempi lo sta dimostrando.
Info: www.claragigipadovani.com

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