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Dietro al successo mondiale dei rosati (+17% produzione in 13 anni) c’è la Provenza, una denominazione che, puntando su qualità, consumo locale ed export, sta aprendo il mercato anche all’Italia: le impressioni dal Pink Rose Festival di Cannes

Più di 23,5 milioni di ettolitri nel 2015, un incremento della produzione del +17% in 13 anni, che semplicemente risponde ad un aumento del suo consumo, soprattutto per quello che concerne la Francia che in 10 anni è passata dal produrre poco più di 5,5 milioni a 7,3 milioni di ettolitri. Il tutto a scapito del mercato dei rossi. Anche gli Stati Uniti (terzo produttore mondiale) ha incrementato la sua produzione (3,6 milioni di ettolitri), mentre quella di Italia e Spagna (secondo e quarto produttore di rosé) è diminuita: sensibilmente per la seconda (passata da poco più di 5 milioni a 4,7 milioni di ettolitri), drasticamente per la prima (da quasi 4 milioni a 2,2 milioni di ettolitri). Sono i numeri dei vini rosati presentati al Pink Rose Festival (di scena a Cannes da oggi al 9 febbraio) da Brice Eymard, direttore generale del Conseil Interprofessionnel des Vins De Provence, nella Masterclass “Il posto dei rosati nel mondo e le tendenze economiche per i Vini di Provenza” (www.vinsdeprovence.com).
Ma non basta. La Francia si afferma nel mondo come maggior produttore (31% della produzione mondiale) e allo stesso tempo maggior consumatore di rosati: rappresenta il 34% del consumo mondiale, 15,6 litri per abitante. Praticamente tre bottiglie su 10 si aprono in Francia. Un dato curioso, ben spiegato da Laurent Fiore, ideatore e direttore del Pink Rose Festival (www.pinkrosefestival.com): “non sono solo i francesi a bere rosé. Ci credono anche i ristoratori, che propongono questa tipologia di vino a turisti. E questi tornano a casa e continuano a richiederlo. C’è una profondo legame, un grande orgoglio che unisce questo vino alla sua terra, la Provenza. È un vino facile - continua Fiore - che non si porta dietro i preconcetti, che hanno ad esempio gli amanti irriducibili del Bordeaux o dei vini della Borgogna; è simile allo Champagne, richiama il consumo associato alle feste ... ma più accessibile. E non ha bisogno di essere capito, quindi si presta benissimo ad essere il primo approccio al mondo del vino per molti neofiti”.
La Provenza è storicamente associata alla produzione di rosati (la denominazione è nata nel 1977) e negli ultimi anni è stata una scelta ancora più voluta e costruita: dai 400.000 ettolitri vinificati nel 1979 si è passati a quasi un milione nel 2015. Allora rappresentavano il 70% del volume prodotto, oggi il 90%. Nel 2016 la produzione totale è stata di 1,3 milioni di ettolitri: il 6% della produzione mondiale, il 42% della Denominazione Aoc Françaises rosés. Buona parte del consumo avviene direttamente in loco, ben il 34% a cui contribuisce tantissimo il turismo della Costa Azzurra: 30 milioni di turisti all’anno di cui il 6% straniero, quello che poi torna in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Canada o Cina e cerca rosati a casa. Ma nel frattempo anche l’export ha subito un incremento: +23% in volumi in 15 anni (dal 2001 al 2015-16) cui ha corrisposto anche un aumento di prezzo (da 1,60 euro a bottiglia a 4,40 euro). Gli Stati Uniti sono il principale destinatario di queste bottiglie, sia per valore (46,5%) sia per volume (39,9%). Seguono l’Inghilterra, il Belgio e la Germania, dove ha smesso di essere un vino stagionale e si consuma ormai tutto l’anno.
“L’aumento di consumo di vini rosati ne ha aumentato la richiesta. La Provenza non può soddisfarla tutta e questo apre il mercato per tutte le altre zone di produzione, comprese quelle italiane. L’aumento di richiesta ne ha allo stesso tempo aumentato il prezzo: al momento la fascia più alta è coperta dai rosé provenzali ed è quindi in quelle più basse che possono inserirsi gli altri, che è un ottimo modo per farsi conoscere”, commenta Fiore. Ma perché l’Italia non sta cavalcando quest’onda rosa come potrebbe? “Ho una mia idea. La produzione di qualità e valore delle aziende in Provenza - spiega a WineNews - è dedicata ai rosati. Non ai rossi e non ai bianchi, che coprono solo il 10% della produzione e rappresentano la parte ludica per l’enologo. La vendita dei rosati, poi, porta una liquidità immediata, non essendo vini da invecchiamento, e questa viene prontamente investita nei vigneti e nella vendita dedicata ai rosé. In Italia è l’esatto contrario: si investe sui rossi, se ne cura la produzione e la vendita, sono i gioielli delle cantine. Vini che hanno bisogno di tempo per essere davvero apprezzati. Altre volte sono i bianchi, ma non i rosati, che restano, per quanto buoni, la percentuale minore delle etichette delle cantine. Le cose però cambieranno: questo mercato, che la Provenza sta aprendo al resto del mondo grazie alla sua forza e alla sua qualità, porterà innovazione anche negli altri Paesi”.

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