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LA CURIOSITÀ

Domaine de la Romanée-Conti, il mercato del vino mito di Borgogna, spiegato da Massimo Sagna

Il distributore unico in Italia: “Drc chiede impegno morale: ai ristoranti di comprarlo per servirlo, alle enoteche di venderlo a chi sa apprezzarlo”

Le grandi aste italiane e internazionali ed il vino ormai sdoganato come anche “bene d’investimento” (solo, però, con rare “blue chips”) sta portando alla ribalta pochissime etichette di tutto il mondo (ad alti livelli non più di 100 cantine). Con qualche grande nome anche italiano, una decina di brand, ma soprattutto, la francese Domaine de la Romanée-Conti, la super griffe di Borgogna, i cui vini, già preziosissimi quando escono dalla cantina guidata da Aubert de Villaine (che Winenews ha anche avuto il piacere di intervistare nel marzo 2019, ndr), raggiungono quotazioni stellari nelle aste di tutto il mondo.
Una cantina ed una “appellation” in cima alla lista dei desideri dei collezionisti e degli appassionati del mondo, con i suoi 8 cru (Corton, Echezeaux, Grands-Echezeaux, La Tache, Montrachet, Richebourg, Romanee-Conti, Romanee-Saint-Vivant), ed in particolare con il Romanee-Conti del Domaine de la Romanée-Conti), e al centro di storie, chiacchiere e “segreti”, sul suo mercato, che, in qualche modo, oltre alla qualità indiscussa dei vini e alla loro rarità, ne alimentano il mito. E per capire e spiegare meglio come funziona il mercato di questa cantina mito del mondo, siamo andati alla fonte, ovvero a Sagna, il distributore in esclusiva per l’Italia dei vini del Domaine Romanèe Conti dal 1990 (prima lo faceva la Gaja Distribuzione, ndr), parlandone con Massimo Sagna.
Partendo dall’inizio, ovvero da come funziona la vendita dei vini di Drc. “È semplice. Abbiamo un’assegnazione da parte del produttore, che prevede un certo numero di bottiglie dei vari vini dei suoi cru. Che ovviamente noi vendiamo al prezzo che ci indica il produttore, dopo di che, ovviamente, il nostro cliente applica il ricarico che ritiene opportuno. L’azienda - sottolinea Sagna - ci ha chiesto di privilegiare la ristorazione. Il fatto è che, allo stesso tempo, i vini di Romaneè Conti sono i più facili ed i più difficili da vendere. In particolare, di Romaneè Conti del Domaine de la Romaneè Conti, ne abbiamo 100 bottiglie all’anno per l’Italia, e le richieste sono per 1000. Quindi il 90% di chi lo vorrebbe resta a bocca asciutta, semplicemente perchè non ce ne è. E quindi c’è in parte rotazione, in parte una clientela acquisita. Ovviamente c’è sempre una certa precedenza per alcuni ristoranti, stellati o meno. Poi c’è una quota di clientela privata, ma non si arriva al 10%”.
In molti sostengono che la possibilità di acquisto dei vini di Romaneè Conti sia legata all’acquisto anche di altre etichette di altre aziende. Ovvero, si riesce a comprare Drc se si compra anche altro. “No, è molto diverso da così”, spiega Sagna. “Ai privati, intanto, non si può imporre niente. Di certo non posso dirgli “se vuoi una bottiglia di Echezeaux, allora compri anche 10 bottiglie di questo o di quel vino. La verità è un’altra: ci abbiamo messo più di 3 generazioni a mettere insieme un listino di prodotti che coprono tutti la stessa fascia di clientela. E così un ristorante che ha la clientela per Domaine de la Romanée-Conti, ha una clientela anche per tantissimi altri nostri prodotti. Penso allo Champagne Roederer, al Cristal, ad alcuni Bordeaux, a Petrus, a grandi vintage di Porto e altro. Per cui è logico che il cliente che ci chiede una bottiglia di Romanée-Conti sia interessato ad avere anche ad altro. Non c’è un vincolo, e soprattutto non c’è per i grandi ristoranti. Un ristoratore sa benissimo che di questi vini ce n’è abbastanza per soddisfare appena il 10% delle richieste. È logico che sia lui interessato a collaborare con noi, ma noi non imponiamo nulla. È chiaro che un grande ristorante che collabora con noi, mi viene in mente Cracco a Milano, per fare un esempio, è un ristorante al quale non chiediamo nulla, ma è lui di sua spontanea iniziativa a lavorare con noi, non solo per Domaine de la Romanée-Conti”.
Fatto sta che poi, queste rarissime bottiglie si trovano con sempre maggiore frequenza nelle grandi aste del vino, dove, soprattutto con vecchie annate e grandi formati, spuntano quotazioni da capogiro. Con percorsi non sempre chiarissimi, tanto che, a volte, ne viene messa in dubbio l’autenticità, e talvolta si usano espedienti che impediscano di tracciarne il percorso completo, come l’abrasione dei numeri di serie riportati su ogni bottiglia di ogni formato e di ogni annata. Ed il motivo è semplice, come spiega Sagna.
“Ovviamente, una volta che noi consegniamo una bottiglia al cliente, poi ne perdiamo traccia, non sappiamo cosa ne sarà, è logico. Non posso sapere se, per assurdo, il cliente l’ha tenuta un anno in vetrina al sole, ed il vino si è deteriorato, se l’ha bevuta e l’ha riempita con del vino qualunque. Non lo posso sapere. Quello che noi facciamo è tenere uno schedario di tutti i clienti che comprano Drc, con tutte le bottiglie e tutti i numeri di serie di tutti i cru che comprano, per cui cerchiamo di seguirli. Ai clienti, però, chiediamo un impegno morale: ai ristoratori, quello di stappare la bottiglia nel loro locale; alle enoteche, che però sono sempre meno, quello di rivendere queste bottiglie a dei conoscitori che le apprezzino e le stappino. Questo è quello che chiediamo”.
Nessun vincolo “contrattuale” nell’utilizzo che si fa di queste bottiglie, come sostengono alcuni, dunque. Più una sorta di patto tra gentiluomini, in qualche modo. “È logico che quando uno paga la bottiglia e la compra, poi, ne fa quel che vuole. Ma questo impegno morale noi lo chiediamo perchè lo chiede Domaine de la Romanée-Conti, e lo chiede in tutti i Paesi d’Europa. E come Romanée-Conti, parlo per i prodotti che distribuiamo noi, fa anche Petrus”. E per chi non rispetta il patto, ovviamente, delle conseguenze ci sono, ma ovviamente né economiche né legali. “È una sorta di patto tra gentiluomini, ovviamente non vincolante. Non si può fare un contratto di questo tipo che abbia valore legale. Come detto, è un impegno morale. Poi, ovviamente, il Domaine è perfettamente al corrente di tutti i nostri clienti, di che numero di bottiglia è stata data al tal cliente. Per cui, se la bottiglia n. 7 viene trovata in canali che Domaine da La Romanée-Conti non giudica idonei, quel cliente lì noi siamo obbligati a metterlo da parte, perchè ha “tradito” questo patto”. Quasi una sorta di “moral suasion”, dunque.
“Il concetto è questo: tutti i vini del Domaine hanno un prezzo molto elevato, ma non dimentichiamo che è vino - sottolinea Sagna - ed il vino è destinato ad essere bevuto. Guai se diventa una forma di investimento. Se diventa oggetto di speculazione, è destinato, tra 1 anno, o 10 o 50, a svilirsi, obbligatoriamente. Perchè in questa logica non c’è nessuna regola che fissi il prezzo. Se poi quella bottiglia che so, del 1964, non è buona, allora non vale il prezzo che è stata pagata. Il vino deve essere bevuto, non deve diventare oggetto di speculazione, va contro il valore del vino stesso”.
Il dato di fatto, però, è che le bottiglie di Drc sono quasi sempre le più pagate nelle aste, con cifre talvolta quasi surreali. Nel 2018, per esempio, due bottiglie di Romanée Conti Domaine de la Romanée-Conti 1945 aggiudicate per oltre 1 milione di dollari (una a 558.000 dollari, e una a 496.000) nell’asta battuta da Sotheby’s a New York, mentre in questo 2020, una sei litri di Romanée-Conti del Domaine de la Romanée-Conti del 1979 ha toccato i 203.000 euro nelll’asta di Baghera Wines in marzo, e nei giorni scorsi le 12 Jeroboam e 12 Mathusalem del Domaine de la Romanée-Conti della collezione di Giorgio Pinchiorri (tutti n. 1 del mitico “Millesime 1985” di Romanée-Conti, La Tache, Richerbourg, Echezaux, Grands Echezeaux e Romaneé St Vivant) hanno registrato un incasso di 1,6 milioni di euro. E ha fatto parlare anche la doppia magnum di Romanée Conti Grand Cru 1990 battuta da Bolaffi a 100.000 euro nei giorni scorsi. Sia perchè si tratta di una cifra record in Italia, sia perchè le condizioni di conservazione della bottiglia (come peraltro scritto chiaramente in catalogo) non era perfette, a partire dal numero di serie abraso.
“Per quello che so, posso dire, che una bottiglia analoga è stata importata - chiude Sagna - da noi, venduta al cliente che l’ha rivenduta a Bolaffi, dopo di che io non so cosa è successo nel frattempo. Posso solo garantire che nell’anno “x” abbiamo importato la bottiglia “y” con il numero “z” e l’abbiamo venduta al cliente tale”.

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