Sempre più italiani, come ci dicono i dati Istat, si dichiarano vegetariani, quando non direttamente vegani, e il medesimo trend si sta replicando - con varie velocità, ma direzione chiara - negli altri paesi avanzati. Cosa succederebbe, però, se il mondo intero si “convertisse” in massa al vegetarianesimo? A chiederselo è stato “Bbc Future” (www.bbc.com/future), il sito del servizio pubblico britannico dedicato ai temi del futuro prossimo per la società globale, ma la risposta è molto meno immediata di quanto non potrebbe sembrare.
Ridurre, o azzerare, il consumo di carne su vasta scala porterebbe senz’altro innumerevoli benefici, innanzitutto dal punto di vista ambientale, dato che dal 25 al 33% di tutte le emissioni antropogeniche di gas serra sono dovute alla produzione di cibo, e la maggior parte è dovuta a quella di carne - e va detto anche che, ad esempio, una famiglia media americana di quattro persone emette molti più gas serra come conseguenza del proprio consumo di carne che dell’uso delle due autovetture di cui generalmente dispone. Secondo i modelli matematici creati dai membri del team accademico “Future of Food” della Oxford Martin School, azzerare entro il 2050 il consumo di carne a livello globale ridurrebbe le emissioni di gas serra dovute alla produzione alimentare del 60%, e se tutto il mondo fosse vegano per quella data, la riduzione sarebbe del 70%. Inoltre, eliminare la carne dalle diete del mondo libererebbe una quantità enorme di pascoli: il 68% dei cinque miliardi di ettari attualmente utilizzati per uso alimentare, per la precisione, e spalancando la strada sia a una riconversione produttiva che al rimboschimento globale. Senza contare che un terzo della terra attualmente utilizzata per coltivare vegetali è usata per il foraggio, e non per l’uomo, e che quindi anch’essa potrebbe essere destinata ad altri usi.
Fin qui, tutto bene: ma questi processi richiedono tempo, pianificazione, consenso internazionale e molti, molti investimenti, dato che non avverrebbero certo spontaneamente, o senza conseguenze negative - come il numero ragguardevole di addetti all’industria della carne che andrebbero ricollocati, o le conseguenze economiche e sociali, che sarebbero enormi e pericolose, particolarmente nelle comunità rurali. Inoltre, anche volendo, un terzo dei terreni attualmente utilizzati come pascoli sono aridi o semi-aridi, e quindi non riconvertibili: i tentativi attuati in questo senso nella storia, come nella striscia africana del Sahel, sono stati fallimenti su tutta la linea, e hanno finito col generare ulteriore desertificazione e perdita di output produttivo. Inoltre, nemmeno l’effetto sulla salute globale sarebbe a saldo interamente positivo, dato che anche se il tasso di mortalità scenderebbe tra i 6 e i 10 punti percentuali entro il fatidico 2050 - con un’incidenza nettamente minore di malattie cardiovascolari e di alcune forme tumorali, e un risparmio totale in spese sanitarie pari a circa il 3% del Pil globale - l’eliminazione della carne dovrebbe essere accompagnata a una sostituzione altrettanto valida di alimenti ricchi dei medesimi principi nutritivi, col risultato che una transizione globale a diete “meat-free” potrebbe portare a una nuova ondata di crisi alimentari e sanitarie nei paesi in via di sviluppo, perché questi micronutrienti sarebbero molto difficili da sostituire.
Nel complesso, quindi, questa conversione globale a diete vegetariane sarebbe un processo bifronte, e aggraverebbe, secondo “Bbc Future”, le disuguaglianze già presenti fra paesi avanzati e in via di sviluppo, a vantaggio dei primi e a svantaggio dei secondi. Piuttosto che analizzare scenari estremi, sottolinea il sito del servizio pubblico di Sua Maestà, sarebbe quindi più utile tenere a mente (e applicare) le raccomandazioni di organismi internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità: conformarsi alle raccomandazioni dell’Oms sulle porzioni diminuirebbe le emissioni di gas serra nel solo Regno Unito del 17%, e minimizzare gli sprechi alimentari in tutte le loro forme permetterebbe di utilizzare al meglio quell’impressionante 50% di tutte le calorie prodotte al mondo che non vengono messe a frutto come potrebbero. Per non parlare delle linee guida, finora rimaste lettera morta, che la Fao ha compilato per l’industria globale della carne - e che già oggi, senza stravolgimenti di sorta, potrebbero ridurre in maniera rilevante le emissioni del settore.
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