Un racconto del Belpaese enogastronomico attraverso le sue fiabe più belle dove il cibo, tra fagioli magici, zucche giganti e fichi del desiderio, muove personaggi verso il loro destino, ed i cui nomi, da Prezzemolina a Cecino, dicono tutto, spingendoli verso “Paesi della Cuccagna”, “campi dei miracoli” e “orti incantati” in cui il paesaggio è un sogno alimentare, o facendo loro incontrare lupi, orchi e streghe che praticano l’antropofagia in pentoloni fumanti. Insomma, in cui ne succedono di cotte e di crude, e se non si mangia in grandi abbuffate, banchetti da Re o a seconda di quel che passa il convento, si viene mangiati con posate d’argento su tovaglie di Fiandra - un classico - e tutti, senza distinzione di sesso, età, strato sociale e provenienza. Le ha raccolte, per la prima volta, Bianca Lazzaro nel volume “Il mangiafiabe. Le più belle fiabe italiane di cibi e di magia”, 110 racconti dai classici d’autore alle narrazioni popolari regionali, dalle Alpi alla Sicilia, tradotte dai diversi dialetti in italiano moderno, accompagnate dalle illustrazioni di Lucia Scuderi, e nelle quali il cibo è il vero protagonista.
“Di bocca in bocca” è la forma primaria di trasmissione della fiaba, che nasce orale e popolare e scivola via via sulla carta grazie all’inchiostro dei grandi trascrittori e folkloristi dell’Ottocento che l’hanno tramandata a noi. Se questo è vero per le fiabe di tutta Europa, con i Fratelli Grimm e Charles Perrault per antesignani, lo è ancor di più per l’Italia, dove il genere fiabesco annovera già tra Cinque e Seicento i suoi due capostipiti letterari universalmente riconosciuti: Straparola e Giambattista Basile. Ma nel volume (Donzelli Editore, 2022, pp. 472, prezzo di copertina 33 euro) ci sono tutti: da Giuseppe Pitrè a Luigi Capuana, da Emma Perodi ad Alessandro D’Ancona e Domenico Campare. E c’è un altro primato che il mondo riconosce al Belpaese e che pure si affida al tramite della bocca, e in particolare al palato: l’eccellenza della sua tradizione culinaria e alimentare. La bocca dà fiato alle parole che si fanno fiaba, la bocca assapora e nutre. E dunque forse non è un caso se le nostre fiabe, dalle Alpi alle isole, riservano ai cibi un posto di riguardo.
È questa l’intuizione da cui nasce la raccolta di Bianca Lazzaro, frutto di una consuetudine ventennale della curatrice con il genere della fiaba dall’Europa all’Oriente, e in particolare del suo recupero in traduzione integrale italiana del nostro principale repertorio: i quattro volumi di fiabe, novelle e racconti popolari siciliani pubblicati da Giuseppe Pitrè nel 1875 e apparsi in questa medesima collana nel 2013. A partire da questo “patrimonio nazionale di importanza internazionale”, per dirla con l’autorevole studioso Jack Zipes, la curatrice ha scelto e tradotto qui in italiano moderno le fiabe più belle delle diverse tradizioni locali del Belpaese nelle quali i cibi svolgono un ruolo rilevante e originale. Protagonisti o comprimari, crudi o cotti, frugali o prelibati, i piatti e gli ingredienti delle nostre cucine regionali sfilano in questa sagra fiabesca tutta italica, fantasiosa e variopinta, chiassosa e ricca di sorprese. A insaporirle è quel tanto di immancabile magia che, sprigionata da un frutto o una pietanza, un fiasco o un calderone, sfama o salva, avvelena o guarisce popolani e reucci delle fiabe. Mentre di tanto in tanto tuona un “ucci ucci” di qualche orco o mammadraga, pronti entrambi a trangugiare “cristianucci”. E a ogni piè sospinto, appetiti amorosi, sete di vendetta, fame atavica e scorpacciate a sbafo.
Centodieci fiabe sono “apparecchiate” per papille di tutte le età, che scegliendo tra 18 suggestioni di lettura possono inoltrarsi tra parlate e sapori all’insegna della più ampia varietà, esaltata dai colori radiosi e mediterranei delle illustrazioni di Lucia Scuderi. Nelle cucine delle fiabe, infatti, c’è sempre un paiolo che bolle, un forno caldo e una storia che mette l’acquolina in bocca, tra una zuppa fumante e un pasticcio di maccheroni, uno stufato e una polenta, una padellata di sarde e una ricotta, un cesto di fichi e un buon vino.
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