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SCENARI

Export agroalimentare italiano nei primi 9 mesi 2025 a +5,7%: diversificare i mercati sarà il futuro

Studio Nomisma per il Forum Agrifood Monitor n. 9: Germania, Usa, Francia, Uk e Spagna rappresentano ancora il 50% delle esportazioni complessive
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L’export agroalimentare italiano potrebbe superare i 70 miliardi di euro nel 2025

Una sicurezza che, per il futuro, ha bisogno di trovare più sbocchi per portare o promuovere ulteriormente il made in Italy anche in altre realtà, nonostante gli Stati Uniti, il primo mercato di riferimento, restino insostituibili (per il vino l’incidenza supera il 25%). L’export che continua a rappresentare una leva fondamentale per la competitività del settore agroalimentare italiano, come confermano i numeri: l’Italia è oggi l’esportatore mondiale n. 9 per valore (67,2 miliardi di euro nel 2024) e il n.2 per crescita nell’ultimo quinquennio, con un aumento del 55%. Una crescita diffusa su quasi tutti i mercati, con risultati particolarmente rilevanti in Polonia (+112%), Spagna (+74%) e Stati Uniti (+69%). Una forte concentrazione geografica che, tuttavia, permane: i primi cinque mercati di destinazione, e, quindi, Germania, Usa, Francia, Uk e Spagna, rappresentano ancora il 50% dell’export complessivo. Ed una dipendenza che rende urgente una maggiore diversificazione, soprattutto in una fase caratterizzata da molteplici fattori di incertezza e complessità, in cui gli equilibri commerciali globali si stanno rivelando sempre più fragili. Sono queste alcune delle principali evidenze dello studio prodotto da Nomisma e presentato, oggi a Bologna, in occasione del Forum Agrifood Monitor n. 9, l’evento organizzato in collaborazione con l’agenzia di rating Crif e con il supporto di Crédit Agricole Italia, che ha visto la partecipazione di Matteo Zoppas, presidente Ita-Ice Agenzia, Francesca Alicata, Head of external relations Simest, Lorenzo Beretta, presidente Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi), Nicola Bertinelli, presidente Consorzio Parmigiano Reggiano, Gianmarco Laviola, ad Gruppo Salov, Giacomo Ponti, presidente Federvini, ed Emanuele Fontana, coordinatore agricoltura Crédit Agricole Italia.
Per quanto l’anno in corso si sia rivelato particolarmente complesso, secondo Nomisma le stime per il 2025 saranno comunque positive: i dati gennaio-settembre mostrano, infatti, una crescita per l’export agroalimentare italiano del +5,7% sullo stesso periodo 2024, segnale che il comparto dovrebbe superare per la prima volta la soglia dei 70 miliardi di euro. Un record, se così sarà, trainato soprattutto dai mercati dell’Unione Europea (+9%), con ottime performance in Polonia (+17,3%), Romania (+11,1%), Repubblica Ceca (+9,1%) e Spagna (+14,5%). Meno brillante la crescita extra Ue (+4%), frenata dai cali registrati negli Stati Uniti (-1,1%), in Russia (-8%) e in Giappone (-13%).
Il calo dell’export agroalimentare negli Usa, spiega Nomisma, è legato principalmente alla svalutazione del dollaro (oltre -10% da inizio anno) e all’incertezza generata dalle politiche daziarie dell’amministrazione Trump, che hanno provocato un andamento altalenante: una forte crescita nei primi 3 mesi dell’anno, dovuta all’effetto scorte, e un crollo fino al -22% in agosto, con l’introduzione del dazio aggiuntivo del 15% su alcuni dei nostri prodotti. Nonostante ciò gli Stati Uniti restano un mercato strategico e difficilmente sostituibile per il food & beverage italiano. Con un Pil pro capite prossimo ai 90.000 dollari e una spesa alimentare annua di oltre 4.500 dollari a persona, gli Usa importano 211 miliardi di dollari di prodotti agroalimentari, con una crescita del 50% negli ultimi 5 anni. Gli acquisti di prodotti agroalimentari italiani sono aumentati del 66% tra il 2019 e il 2024 e oggi l’Italia è il terzo fornitore con una quota di quasi il 4%, dopo Canada e Messico che congiuntamente pesano per oltre il 40% sull’import agroalimentare statunitense. La rilevanza del mercato Usa per l’export italiano è stata analizzata da Nomisma attraverso il confronto incrociato, per singolo prodotto, tra la crescita nell’export a volume degli ultimi 5 anni, il differenziale esistente tra il prezzo medio all’export negli Usa rispetto alla media mondiale e il peso assunto dal mercato statunitense sull’intera categoria. Dall’analisi emerge come per due categorie di prodotti in particolare, ovvero i derivati della carne e la cioccolata, il differenziale di prezzo sia superiore al 40%, così come la crescita nei volumi esportati risulti maggiore del 50%. Per olio d’oliva, vini fermi e frizzanti imbottigliati, liquori e aceti l’incidenza del mercato Usa è superiore al 25% del nostro export a livello mondiale, con un differenziale di prezzo intorno al 30%, a dimostrazione di quanto il mercato americano risulti “attrattivo” e profittevole per le imprese italiane.
Per ridurre i rischi e rafforzarne la crescita futura, diventa, quindi, fondamentale ampliare la presenza dell’agroalimentare made in Italy in altri mercati, analizza Nomisma, aggiungendo che, in questo contesto, un ruolo decisivo potrà essere svolto dai nuovi accordi di libero scambio. L’intesa Ue - Mercosur, che coinvolge 260 milioni di persone e oltre 3.000 miliardi di dollari di Pil, rappresenta un’opportunità per le aziende italiane, considerando che il nostro export agroalimentare verso quest’area già oggi vale 440 milioni di euro (+68% negli ultimi 5 anni). Ulteriori prospettive arrivano dalla chiusura del negoziato con l’Indonesia, mercato da 287 milioni di abitanti, dove l’export italiano ha già raggiunto i 90 milioni di euro, con una crescita del +58% dal 2019.
Riguardo le dinamiche di pagamenti e trend creditizi dell’industria alimentare italiana, l’andamento del fatturato del comparto alimentare mostra tassi di crescita superiori della mediana italiana. Sul fronte della marginalità, anche per effetto dell’inflazione sulla componente di energia e materie prime, il progresso rispetto pre-Covid è risultato meno marcato rispetto al dato nazionale. Dal punto di vista finanziario, invece, il comparto, si legge nella nota, ha solo parzialmente ampliato la propria flessibilità finanziaria, a dispetto di quanto avvenuto in modo più marcato in altri settori. Ciononostante, il debito finanziario continua a risultare sostenibile, con un rapporto debito finanziario lordo su Ebitda mediamente pari a 2,5x e un adeguato livello di copertura degli oneri finanziari prossimo a 8x, pur in presenza dell’incremento del tasso di interesse a partire dal secondo semestre 2022. Inoltre, le analisi prodotte da Crif Ratings segnalano che a fine 2024 il tasso di default delle società di capitali operanti nel settore alimentare ha registrato finanche una riduzione di circa 25 punti base sul 2023, a fronte di un lieve aumento di 15 punti base per l’intero universo delle società di capitali italiane. Sebbene tale tasso di default risulti leggermente superiore alla media dell’economia italiana, per quasi tutti i comparti del settore alimentare si è mantenuto su livelli inferiori di quelli osservati nel periodo pre-Covid. Relativamente ai pagamenti commerciali, infine, le performance risultano molto eterogenee tra i diversi canali di sbocco anche se, mediamente, tutti mostrano percentuali di ritardi gravi superiori alla media nazionale, seppur senza segni preoccupanti di aumento negli ultimi semestri.
Per Paolo De Castro, presidente Nomisma, “in un contesto dominato da una crescente incertezza, per garantire un’adeguata sostenibilità economica alle imprese del settore agroalimentare italiano l’export gioca un ruolo centrale. Se la diversificazione dei mercati oggi rappresenta una delle principali priorità per il comparto, per creare nuove opportunità di crescita è oltremodo fondamentale la capacità di leggere in anticipo i cambiamenti in atto e costruire alleanze solide. È anche per questo motivo che, come Nomisma, cerchiamo di supportare le imprese della filiera nel loro percorso di internazionalizzazione attraverso analisi approfondite, soluzioni dedicate e servizi di consulenza. Anche l’accordo di collaborazione stretto con Simest va in questa direzione”.
Denis Pantini, responsabile agroalimentare Nomisma, ha sottolineato che “per quanto il mercato statunitense sia insostituibile per il nostro export agroalimentare, vi sono Paesi che nell’ultimo decennio hanno incrementato le importazioni di nostri prodotti food & beverage a tassi medi annui superiori al 12%, in particolare Messico, Polonia, Romania, Corea del Sud, ma anche Australia e Brasile, dove i nostri prodotti possono fare leva, oltre che sull’elevata qualità, su asset di sviluppo come la presenza di una nutrita comunità di origine italiana, ma anche di ristoranti di cucina italiana, oggi ad un passo dal diventare ufficialmente Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco. In un contesto economico sempre più instabile, l’agroalimentare italiano conferma la propria forza e la capacità di espandersi oltre confine, ma la sfida per i prossimi anni sarà diversificare, innovare e cogliere le nuove opportunità offerte dai mercati esteri”.
Simone Mirani, Managing director Crif Ratings, conclude che “pur in un contesto di incertezza, il settore alimentare italiano sta dimostrando una sostanziale stabilità dal punto di vista creditizio. L’attuale tasso di default delle società di capitali operanti nel settore si mantiene, infatti, nell’ordine del 3%, di poco sopra la media italiana e con dinamiche sostanzialmente omogenee nei diversi comparti. Tuttavia, la capacità di dotarsi e mantenere un’adeguata flessibilità finanziaria risulta un elemento chiave per affrontare con sufficienti margini di manovra il volatile contesto geopolitico e macroeconomico, ivi incluso l’impatto moderatamente negativo dei dazi Usa”.

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