La filiera agroalimentare italiana è un articolato complesso, una delle più rilevanti dell’economia italiana, fatta di 1,2 milioni di imprese e di 3 milioni di posti di lavoro, e nella sua totalità è in salute, tanto che nei prossimi tre anni vedrà crescere del 4% la sua produzione e, soprattutto, del 5% la redditività. È, in estrema sintesi, il quadro che emerge dall’outlook triennale firmato da Crif (azienda globale specializzata in sistemi di informazioni creditizie e di business information e Nomisma). Chiaramente, si tratta di una filiera lunga, che va dalla produzione di materie alla trasformazione. Ed in questo senso, per una volta, le buone notizie sono proprio per il primo anello della catena, che secondo le stime, vedrà crescere del 3,9% il fatturato, nel prossimo triennio (sia grazie ad una domanda interna che chiede sempre più made in Italy, che alla crescita dell’export), ma soprattutto del +8,4% la redditività, proprio grazie ad una crescita complessiva della domanda di made in Italy, ma anche alla stabilità prevista per i prezzi dei mangimi.
Decisamente bene andrà anche alla trasformazione, che vedrà fatturati in crescita del 4,3%, e la redditività aumentare del 6,4%, il tutto grazie alla crescita dei consumi, ma anche del valore aggiunto “in virtù di innovazioni tecnologiche che ridurranno i costi operativi”.
Positiva anche la stima per i servizi legati alla filiera, che cresceranno del +4,6% in termini di fatturato, grazie alla tendenza delle famiglie italiane di usufruire sempre più dei servizi di ristorazione, e del 5,9% in redditività, soprattutto se arriveranno sgravi fiscali che abbasseranno il costo del lavoro.
A beneficiare in maniera minore di questo trend positivo sarà, invece, la Gdo, che vedrà comunque crescere del 3% il fatturato, grazie soprattutto ad una prevista diminuzione della disoccupazione che dovrebbe stimolare in consumi, e del 3,6% la redditività, grazie alla crescita della domanda interna.
Dinamiche che si innestano in un settore che, nel 2017, ha mosso 243 miliardi di euro a livello di consumi interni in generi alimentari e bevande (+1,5% sul 2016) - grazie soprattutto alla crescita del fuori casa (+3,7%) che vale 83 miliardi (il 34% dei consumi totali), e alla sostanziale tenuta dei consumi domestici (+0,5%) - e generato 40 miliardi di export (+5,5% sul 2016), con le vendite all’estero che registrano una ulteriore crescita anche nel primo semestre 2018 (+2,5%).
Un quadro economico in cui si sono registrati cambiamenti significativi nella composizione dei consumi alimentari, sotto la spinta dei nuovi trend di consumo e dei cambiamenti negli stili di vita. Tra i nuovi driver di consumo, origine, qualità certificata e valori salutistici degli alimenti rappresentano i principali fattori che stanno riconfigurando il carrello della spesa. Da anni continuano, difatti, ad aumentare le vendite dei prodotti che richiamano l’italianità (100% made in Italy, prodotti a denominazione), degli alimenti ad alto contenuto di servizio che assicurano risparmi di tempo (come piatti pronti ed insalate di quarta gamma) cosi come di quelle referenze che garantiscono attributi di salubrità e naturalità (si pensi agli alimenti free-from o rich-in). In tale scenario in cui si presta sempre maggiore attenzione a ciò che si mangia, un ruolo di primissimo piano è giocato dal biologico: nel giro di pochi anni il numero di famiglie acquirenti di prodotti a marchio bio è infatti passata dal 53% del 2012 all’attuale 83%.
Tuttavia, “si è ancora ben lontani dai tempi pre-crisi tanto che se si considera il trend decennale, i consumi interni risultano nel complesso in calo del 5,2% - dichiara Emanuele Di Faustino, Project Manager Agroalimentare di Nomisma - notizie più positive arrivano invece dalla capacità di presidio dei mercati internazionali, con la domanda estera di prodotti made in Italy non ha accennato ad arrestarsi”.
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