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Fipe: il caso Foodora “mette in mostra le ombre della sharing economy”. Per Marcello Fiore, dg Fipe, servono “regole chiare” per impedire la precarizzazione di posti di lavoro regolari e la violazione delle norme a tutela dei consumatori

Il caso Foodora, secondo Fipe, è una sorta di “canarino nella miniera”: nelle parole di Marcello Fiore, dg dell’associazione di categoria dei pubblici esercizi afferente a Confcommercio, “mette in mostra le ombre della sharing economy ed è la dimostrazione del fatto che, senza regole chiare, condivise e rispettate da tutti si creano i posti di lavoro precari e si distruggono contemporaneamente i posti regolari”.
La vertenza tra la società, che gestisce ordini e consegne di pasti a domicilio tramite un’app per smartphone, e i suoi “fattorini”, che hanno messo in luce le proprie condizioni lavorative con un recente sciopero, è in effetti una sorta di rovescio amaro della medaglia della sharing economy, dato che l’azienda ha deciso di eliminare per i nuovi assunti la remunerazione fissa basata sul numero di ore lavorate, e mantenere solo la parte variabile, legata alle consegne: 2,7 euro ciascuna. Cottimo, in buona sostanza, e con un contratto di collaborazione in cui non c’è traccia di tutele e diritti minimi, come ferie, malattia o contributi previdenziali. In questo esempio, insomma, i vantaggi della diffusione delle nuove tecnologie non si riflettono minimamente sui lavoratori, se non negativamente, e anche da questo punto di vista l’Italia conferma il suo censurabile gap in termini di costo del lavoro, dato che il medesimo fattorino, in Francia, all’azienda costa sette euro l’ora, più due per ogni consegna. Senza contare che la società guadagna sia dai ristoratori, ai quali impone una commissione tra il 20 e 30 per cento dell’ordine, che dai clienti finali, con una commissione fissa di di 2,9 euro a consegna.
Inoltre, come sottolineato dal dg Fipe Fiore, il caso Foodora mette anche in luce “la necessità di rispettare le regole vigenti come fanno le pizzerie ed i ristoranti che effettuano in proprio tale attività con personale regolarmente assunto”, oltre che sottolineare il divario competitivo, sempre crescente, tra esercizi pubblici “1.0” e “2.0”, per così dire.“Fipe”, ha, infatti, rimarcato Fiore, già da qualche anno ha segnalato le forti perplessità che le attività di home restaurant stanno generando all'interno del settore della somministrazione di alimenti e bevande. La crescente diffusione di tutti questi servizi sul territorio nazionale, a seguito della crisi e attraverso piattaforme on line e social network rischia di costituire un canale parallelo di offerta al pubblico organizzato, ma non controllato per assicurare il rispetto delle norme poste a tutela della salute dei consumatori (ad incominciare dal rispetto del divieto di somministrazione di alcool ai minori) e di diritti di chi vi lavora. Sollecitiamo pertanto il Governo a far rispettare le norme a garanzia della salute pubblica, dei diritti dei lavoratori e della trasparenza, mettendo fine, inoltre, ad un’evasione fiscale e contributiva pressoché totale”.

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