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FRODI ALIMENTARI ED ITALIAN SOUNDING: SONO LORO I NEMICI DEL MADE IN ITALY CHE “COSTANO” AL SETTORE 60 MILIARDI DI EURO, E PER IL 60% DEGLI ITALIANI LA CONTRAFFAZIONE A TAVOLA E’ PIU’ GRAVE DELLE FRODI FISCALI E DEGLI SCANDALI FINANZIARI

Le contraffazioni a tavola sono quelle più temute dagli italiani con sei cittadini su dieci (il 60%) che le considerano addirittura più gravi delle frodi fiscali e degli scandali finanziari: lo dice la Coldiretti, alla presentazione della ricerca del Ministero dello Sviluppo Economico e del Censis da cui si evidenzia che la contraffazione alimentare vale in Italia 1,1 miliardi di euro, che salgono a 60 miliardi se si considera il fenomeno dell’italian sounding (lontano anni luce dall’”italian tasting”, come ha detto il presidente del Consiglio, Mario Monti, nel suo intervento), al centro di un’intera esposizione al forum di Cernobbio, dal parmesan al barbera bianco, dal provolone del Wisconsin ai pomodori san Marzano della California. A spaventare sono soprattutto gli effetti sulla salute delle frodi a tavola che si moltiplicano nel tempo della crisi soprattutto con la diffusione dei cibi low cost.

Ma la contraffazione, oltre a preoccupare i consumatori italiani ed a colpire l’industria alimentare del Belpaese, crea un danno enorme anche all’agricoltura, che perde ogni anno 3 miliardi di euro, come ricorda la Cia - Confederazione italiana agricoltori. “Un danno economico e di immagine - dice la Cia - inaccettabile per i produttori che lavorano quotidianamente sull’eccellenza. Tanto più che a finire più spesso nel mirino di falsi e tarocchi sono proprio i prodotti di qualità regolamentata, le Dop e le Igp, il biologico: cioè quelli che dovrebbero offrire un’assoluta garanzia di sicurezza alimentare, che è il criterio al primo posto nelle scelte di consumo per otto italiani su dieci.
Invece i diffusi fenomeni di contraffazione e agropirateria minano la fiducia dei cittadini, disorientati dalle ricorrenti notizie di scandali e truffe, compromettendo il prestigio del nostro sistema agroalimentare in Italia e all’estero”.

La frode alimentare, infatti, è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull’inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono costretti a risparmiare sugli acquisti di alimenti, ma oltre un certo limite non è possibile farlo, se non si vuole mettere a rischio la salute: sul mercato si trovano, ad esempio, oli di oliva venduti come italiani a prezzi che non riescono a coprire neanche i costi di raccolta delle olive, e lo stesso vale per prosciutti o formaggi “spacciati” come nostrani o italiani senza esserlo. Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto messa in atto dalla Magistratura e da tutte le forze dell’ordine impegnate confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale all’inizio dell’anno approvata all’unanimità dal Parlamento italiano ma non ancora applicato per le resistenze comunitarie. Un ritardo da colmare anche per contrastare il fenomeno dell’italian sounding all’estero, che colpisce i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale, come è stato evidenziato dall’esposizione della Coldiretti sui casi più eclatanti di pirateria alimentare nei diversi continenti dove sono state scovate inquietanti aberrazioni, dallo “Spicy thai pesto” statunitense al “Parma salami” del Messico, ma anche una curiosa “mortadela” siciliana dal Brasile, un “salami calabrese” prodotto in Canada, un “barbera bianco” rumeno, il “provolone” del Wisconsin, gli “chapagetti” prodotti in Corea, una strana “pizza polla cipolla Basilicata” prodotta in Olanda e un preoccupante sugo “mascarpone e ruccola” prodotto in Svezia. Le denominazioni Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono le piu’ copiate nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia fino al Giappone, ma in vendita c’è anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America, ma anche Pamesello in Belgio o Parmezan in Romania. Per non parlare del Romano, dell’Asiago e del Gorgonzola prodotti negli Stati Uniti dove si trovano anche il Chianti californiano e inquietanti imitazioni di soppressata calabrese, asiago e pomodori San Marzano “spacciate” come italiane. E in alcuni casi sono i marchi storici ad essere “taroccati” come nel caso della mortadella San Daniele e del prosciutto San Daniele prodotti in Canada. Il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani è l’opportunità, per un’azienda all’estero, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio competitivo associando indebitamente ai propri prodotti l’immagine del Made in Italy apprezzata dai consumatori stranieri, senza alcun legame con il sistema produttivo italiano e facendo concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali impegnati a garantire standard elevati di qualità. Bisogna combattere un inganno globale per i consumatori che causa danni economici e di immagine alla produzione italiana sul piano internazionale cercando un accordo sul commercio internazionale nel Wto per la tutela delle denominazioni dai falsi, ma è anche necessario fare chiarezza a livello nazionale ed europeo dove occorre estendere a tutti i prodotti l’obbligo di indicare in etichetta l’origine dei prodotti alimentari come previsto dalla legge approvata all’unanimità dal Parlamento italiano all’inizio della legislatura e rimasta fino ad ora inapplicata.

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