Il vino, per Galileo Galilei, fondatore della scienza moderna, era simbolo di vita e di conoscenza, un “nettare divino” che univa scienza, arte e filosofia. Per lui, non si trattava solo di una bevanda, ma era “composto di umore e luce”, ovvero il frutto dell’interazione tra sole, terra e acqua e quindi una testimonianza materiale dell’armonia del mondo. Galilei vedeva quindi il vino come un elemento di convivialità e riflessione filosofica, ma era anche alla base dei suoi esperimenti scientifici, nonché del suo ingegno. Amava discutere di vino con amici e allievi, come Giovanfrancesco Sagredo, che immortalò nei suoi scritti scientifici “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (1632) e “Discorsi e dimostrazioni matematiche” (1638). Galilei applicò la sua scienza anche alla produzione di vino, in particolar modo alla viticoltura e all’idraulica. A indagare su questa passione dello scienziato è Alessandro De Angelis sul “Corriere della Sera”, in un articolo intitolato “Il piacere di Galileo scienziato (di)vino”. La passione iniziò durante il periodo trascorso a Padova (1592-1610), dove Galileo acquistò un terreno a vigna e cominciò a produrre vino (applicando la sua precisione scientifica anche alla coltivazione delle viti), oltre che a comprarlo e a riceverlo in dono. Tuttavia, gli esperimenti scientifici applicati al vino si intensificarono soprattutto a partire dal 1617, durante l’ultima parte della sua vita, quando si stabilì dapprima in una casa di Bellosguardo (Salerno), e poi nella villa “Il Gioiello” di Arcetri (Firenze) - successivamente ricostruita grazie alla prestigiosa Accademia dei Georgofili, che dal 1753 promuove studi legati all’agricoltura - che disponeva di un’ampia vigna confinante con il convento della figlia Maria Celeste, monaca di clausura. L’allievo prediletto di Galilei, Vincenzo Viviani, scrisse che il maestro amava sperimentare nuovi metodi di produzione, tra cui una rudimentale macerazione carbonica, una vinificazione in un’atmosfera povera di ossigeno e ricca di anidride carbonica (nel caso di Galilei veniva prodotta dalla fermentazione in ambiente chiuso), che favorisce la formazione di aromi di frutti rossi e limita l’asprezza e l’astringenza. Venne codificata solamente nel 1934 dall’enologo francese Michel Flanzy dando origine ai vini novelli, come il Beaujolais Nouveau.
Molte informazioni sul rapporto tra Galilei e il vino derivano dallo scambio di lettere con la figlia Maria Celeste: di 124 lettere mandate al padre, ben 36 menzionano il vino. Lo scienziato produceva sia vino bianco (il preferito della figlia) sia rosso, e lo regalava alle consorelle (tra cui vi era anche l’altra figlia, Suor Arcangela, con cui però Galilei non parlava). Tra le uve bianche coltivate, vi era la verdea, varietà caduta in disuso e recentemente recuperata.
Galilei non solo produceva vino, ma lo acquistava e lo riceveva in regalo. Per esempio, dalla Corte medicea arrivavano vini provenienti dalle cantine del Granduca o da altre fattorie, e dalle lettere della figlia è emerso l’arrivo di dieci barili di vino da San Miniato e di altri cinque barili dall’amico Geri Bocchineri, segretario del Granduca Ferdinando II. Inoltre, Galilei mandava salumi all’amico Ascanio Piccolomini per avere in cambio vini prodotti in una vigna presso Montalcino. Avere una cantina fornita era una grande consolazione per Galilei e quando scarseggiava il vino mandava lettere ansiose: tra tutte, quella indirizzata all’amico Benedetto Guerrini nel 1637 in cui affermava di preferire il piacere del vino a quelli dell’amore e del cibo.
Non sembra comunque che Galileo abusasse del vino, se non raramente durante i periodi di difficoltà che si intensificarono a seguito della condanna per eresia, avvenuta nel 1633. Negli ultimi anni della sua vita, Galileo divenne cieco. E particolarmente triste e “mal ridotto”, come scrisse Viviani, anche per il “sagrifìzio, per lui gravissimo, di dover rinunziare al vino, contro l’abuso del quale e in termini amorevolissimi lo ammoniva la prediletta sua primogenita”. Negli ultimi anni, inoltre, i denti di Galileo si deteriorarono. L’autopsia rivela che “nella mandibula superiore mancavano tutti i denti, fuori dei due ultimi molari, ed erano per la vecchiezza totalmente aboliti gli alveoli; [al]la mandibula inferiore mancavano parimente tutti i denti fuori che i quattro incisori, e i due ultimi molari”. Non è dunque escluso che il vino facesse da nutrimento al vecchio Galileo, il quale, a quanto riferì Viviani, diceva: “Questo bere mi conduce alla bara”.
“La passione di Galileo per il vino, ampiamente documentata, ha in parte associato il genio toscano alla diffusa idea dell’ebbrezza alcolica come via privilegiata per accedere a verità nascoste o nuove forme di conoscenza. Tuttavia, per quanto centrale nella vita di Galileo, e nonostante le raccomandazioni e talvolta i rimproveri della sua prediletta primogenita, questo rapporto pare restare abbastanza sano, anche in relazione ai costumi dell’epoca e alle abitudini di altri grandi scienziati contemporanei. In un periodo in cui il sapere era spesso soggetto a censura e dogmi, e l’acqua non di rado risultava putrida, possiamo facilmente immaginare Galileo sorseggiare un bicchiere di vino mentre rifletteva sulle orbite planetarie o sulle leggi del moto, trovando in quella bevanda conforto e ispirazione”, conclude Alessandro De Angelis sul Corriere della Sera.
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