L’Italia è il primo Paese importatore e il secondo esportatore mondiale di olio, con il 15% della produzione complessiva. La superficie olivetata italiana si estende su 1,1 milioni di ettari, in gran parte in Puglia, Calabria e Sicilia, ma la produzione olivicola in diverse Regioni raggiunge livelli qualitativi eccellenti. Alla vigilia della “Giornata Mondiale dell’Olivo”, che si celebra il 26 novembre, a dirlo è Walter Placida, presidente Fnp Olio Confagricoltura, richiamando l’attenzione su “un comparto di grandissimo valore ambientale, paesaggistico, storico e culturale”, e, dunque, patrimonio nazionale. Che è alle prese con l’annata 2022/2023 che si presenta come particolarmente scarsa in termini di volumi a livello nazionale ed europeo. Nel nostro Paese la produzione non raggiunge 230.000 tonnellate, con un calo del 30% dovuto agli effetti dell’alternanza produttiva, delle alte temperature e in alcune aree per l’attacco della mosca dell’olivo. Ma i numeri della filiera italiana raffigurano comunque un comparto di tutto rispetto: 3,3 miliardi di fatturato (con un peso sull’agroalimentare del 2,2%), 640.000 imprese olivicole, 5.000 frantoi e 220 imprese industriali.
Per Confagricoltura, è giusto evidenziare anche la forte integrazione del comparto con il territorio e la ruralità, rivestendo un ruolo primario nella tutela e nella valorizzazione delle produzioni locali. Sono circa 50 i riconoscimenti Dop e Igp, che rappresentano quasi la metà di quelli complessivamente registrati nell’Unione Europea, con un valore di 91 milioni di euro (in crescita del 27%). Anche l’indotto legato all’oleoturismo sta assumendo un’importanza crescente in termini culturali, sociali ed economici. “A fronte di cali di volume così drastici di quest’annata - afferma Placida - gli olivicoltori devono sostenere gli aumenti dei costi degli input produttivi: fertilizzanti, irrigazione, manodopera, molitura, materiali per il confezionamento. Preoccupa l’andamento del mercato, incerto e instabile, unito al timore che i notevoli aumenti dei costi non vengano adeguatamente assorbiti dalla distribuzione. Queste criticità contingenti, insieme alle carenze strutturali più volte sottolineate da Confagricoltura, sono legate alla poca competitività del settore. Occorre attivare con urgenza - conclude Placida - azioni per ridurre i costi dei fattori di produzione e dare slancio al comparto. Tra gli obiettivi, in primis, segnaliamo il rinnovamento delle strutture in campo e nella fase di trasformazione. Non di minore importanza è l’opportunità di incidere sul cuneo fiscale per restituire attrattività e competitività al comparto e individuare strategie funzionali che privilegino il prodotto interno (italiano) garantendone la giusta remuneratività per tutti gli attori della filiera”.
Intanto, 1 milione di nuovi olivi nel cuore dell’Italia entro il 2030, di cui oltre 650.000 già piantumati tra Umbria e Toscana e coltivati al 100% in regime biologico, sono gli obbiettivi ed i primi risultati del progetto “Bosco Monini”, avviato due anni fa e cuore della transizione sostenibile dell’azienda umbra Monini raccontata nel piano 2030 “A Hand for the Future”. Il nuovo polmone verde, realizzato prevalentemente su terreni abbandonati e riqualificati, ha infatti un forte impatto ambientale: le nuove piante proteggono la salute del terreno e lo preservano da rischi di erosione, tutelano la ricchezza dell’olivicoltura italiana e delle sue cultivar e instaurano un sistema virtuoso di salvaguardia della biodiversità. Concretamente misurabile il beneficio climatico: gli alberi consentiranno infatti di sequestrare fino a 50 mila tonnellate di anidride carbonica in 10 anni.
L’ambiente è tuttavia solo la faccia più visibile della medaglia di “Bosco Monini”, perché l’olivo non è solo una pianta “sacra” e amica del pianeta, è anche olivicoltura, ossia produzione, ricchezza, dieta mediterranea. Elementi che l’Italia, da sempre culla dell’eccellenza nella produzione di olio extravergine, ha bisogno di rafforzare. Nel nostro Paese, al di là delle variabilità annuali, mai come quest’anno negative, le migliaia di tonnellate di olio di oliva che si producono non soddisfano un fabbisogno che si aggira tra le 850 e le 900.000 tonnellate. Ciò significa che c’è un importante grande gap produttivo che le aziende sono costrette a colmare acquistando olio dall’estero. “Con questo progetto - spiega Zefferino Monini, presidente e ad dell’azienda Monini - vogliamo contribuire a promuovere un’olivicoltura di qualità che sia italiana fin dall’origine e che sia sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale ed economico. L’olivo rappresenta per la nostra famiglia la vita da oltre tre generazioni e con questo progetto vogliamo difendere il nostro futuro e quello di chi verrà dopo di noi”.
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