Non solo una biografia di Giulio Gambelli, il “maestro del Sangiovese” che dal dopoguerra agli anni 2000 ha rivoluzionato il volto del vino toscano, ma anche la ricostruzione dei cambiamenti di questo mondo negli ultimi 70 anni, focalizzandosi su ciò che è avvenuto nelle principali denominazioni come Chianti Classico e Brunello di Montalcino. Esce “Giulio Gambelli. L’ultima farfalla del Sangiovese”, volume del direttore Winesurf.it Carlo Macchi con la prefazione dello scrittore americano Burton Anderson, che ripercorre la straordinaria carriera di uno dei più importanti enologi italiani, dalla sua infanzia a Poggibonsi al ruolo chiave che ha giocato nello sviluppo del vino toscano moderno.
Un talento naturale nel riconoscere e valorizzare il vino, non un enologo di formazione, ma d’anima, Gambelli è diventato una figura di riferimento per intere generazioni di produttori grazie al suo palato ed al suo naso che gli permettevano di conoscere, riconoscere e analizzare i vini meglio di un laboratorio. È stato il “maestro del Sangiovese” toscano e ha lavorato in tantissime aziende, più o meno famose. I suoi insegnamenti sono stati semplici, chiari e hanno fatto la fortuna di tante cantine, ma lui è rimasto sempre ai margini del rumoroso mondo del vino parlato. Era restio ai palcoscenici e i suoi discorsi pubblici erano al massimo dei ringraziamenti. Inoltre, si valuta l’enorme modernità del suo modo di fare vino, che non per niente, dopo la sua morte, ha portato alla creazione di un premio per i giovani enologi che è diventato uno dei più importanti a livello nazionale. Nel libro (Casa Editrice Nuova Editoriale Florence Press, febbraio 2025, pp. 144, prezzo di copertina 19,90 euro) prendono la parola sia i proprietari delle cantine dove Gambelli ha lavorato, sia altri personaggi del mondo del vino: il tutto per inquadrare la figura di un uomo che, senza mai mettersi in prima fila, ha collaborato in maniera fondamentale alla crescita del vino toscano.
“Conoscevo Giulio sin da piccolo perché era amico di mio padre. Solo quando sono entrato nel mondo del vino ho capito la sua grandezza, inarrivabile. Mi voleva bene e sopportava la mia inadeguatezza ai suoi standard degustativi. Il fatto che avesse un naso e un palato più fine dei macchinari di laboratorio lo ha dimostrato decine e decine di volte e tutte le persone che lo frequentavano lo sapevano. Una volta eravamo nel laboratorio di analisi dove aveva la sua stanzetta di degustazione, una ragazza gli porta un vino e gli chiede “Giulio che acidità ha?” Lui assaggia e dice “5.2” La ragazza guarda il foglio che aveva in mano, borbotta “Allora ho sbagliato a misurarla” e torna a rifare l’analisi”, racconta, tra gli aneddoti, lo stesso autore.
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