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AGRICOLTURA E GUERRA

Grano ucraino, dopo l’incontro Draghi-Erdogan, si va verso lo sblocco di corridoi nel Mar Nero

Coldiretti: “accordo che salva dalla carestia tanti Paesi”. Wheat Initiative: “calo delle rese del 7% per ogni grado di aumento delle temperature”
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La trebbiatura del grano

Le esportazioni di grano dell’Ucraina potrebbero ripartire presto. Almeno secondo quanto promesso da presidente della Turchia, Erdogan, al Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, dopo l’incontro di ieri ad Ankara. Il presidente turco, d’altronde, è ad oggi il mediatore più accreditato tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il leader della Federazione Russa, Vladimir Putin, ed i suo impegno potrebbe sbloccare le spedizioni dal Mar Nero.
“L’accordo raggiunto dal premier Mario Draghi con il presidente turco Erdogan per la ripresa del passaggio delle navi cariche di cereali sul Mar Nero è importante per salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi dei cereali causato dalla guerra, ma anche per ridurre l’inflazione in quelli ricchi”, commenta la Coldiretti.

“L’inevitabile indebolimento della produzione agricola ucraina e la paralisi dei porti del Mar Nero hanno sottratto un bacino cruciale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del pianeta. Russia e Ucraina rappresentano, sommate, poco più del 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole, secondo un’analisi centro Studi Divulga”, sottolinea la Coldiretti.
Tra i Paesi più dipendenti dalle esportazioni cerealicole russe e ucraine, ricorda Coldiretti, ci sono il vicino Egitto che importa il 70% dei cereali dai porti del Mar Nero, il Libano circa il 75% e lo Yemen poco meno del 50% - spiega Coldiretti - e la situazione non è molto diversa in Libia, Tunisia, Giordania e Marocco. In molte di queste aree l’esposizione alle fluttuazioni di mercato si combina con l’incremento del costo statale dei sussidi per l’acquisto del cibo, che in questi contesti risulta una pratica molto diffusa. Il rischio è che, con l’aumento dei prezzi e delle spesa pubblica, la coperta risulti sempre più corta e fette sempre più ampie della popolazione possano restare senza protezione.Non a caso le quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale sono aumentate del 34% nell’ultimo anno secondo le elaborazioni Coldiretti su dati dell’Indice Fao a maggio. E a tirare la volata sono proprio i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 19%, lo zucchero aumenta di oltre il 40%. Peraltro, il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero a causa dell’invasione russa ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che - spiega la Coldiretti - si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.
Un’ emergenza mondiale che riguarda direttamente anche l’Italia, un Paese deficitario ed importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, anche se è però autosufficiente per il riso di cui è il primo produttore europeo con oltre il 50% dei raccolti per un totale di circa 1,5 milioni di tonnellate di risone all’anno, anche se quest’anno in forte calo del 30%per effetto della siccità e degli alti costi di produzione. Ed il futuro, visto il “climate change”, non promette troppo bene: secondo uno studio della Wheat Initiative, un gruppo di enti pubblici e privati di diversi Paesi (Italia inclusa), impegnati nella ricerca sul grano, secondo cui le rese potrebbero diminuire del 7% per ogni grado Celsius di aumento delle temperature. Inoltre, la minore disponibilità di acqua sta già avendo un impatto significativo nelle regioni irrigate e si prevede che il problema sarà ulteriormente aggravato dalla riduzione dei livelli delle acque sotterranee e dalla diminuzione delle precipitazioni, si legge nel rapporto. Ed è probabile che aumentino anche le pressioni per ridurre l’uso di fertilizzanti e pesticidi come misura protettiva per ridurre la contaminazione ambientale.

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