I prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti molto negli ultimi anni, ad un ritmo superiore a quello dell’inflazione, un aspetto cui produttori, analisti, retailer e politica dovrebbero porre attenzione. Specie perché, come sottolinea il il report “Analyzing Global Food Price Inflation and Food Security” by Tridge, come conseguenza degli aumenti e della volatilità dei prezzi del cibo, chi può permettersi di spendere una quota importante delle proprie entrate in cibo ha visto ridurre drasticamente il proprio potere d’acquisto, mentre chi vive in povertà, o con salari molto bassi, vede minacciata la propria sicurezza alimentare. La catena di sconvolgimenti causati dalla Guerra in Ucraina e sul Mar Nero, dalla pandemia di Covid-19, e dagli eventi climatici hanno portato ad una penuria di cibo e, di conseguenza, ad un aumento dei prezzi che ha causato, a sua volta, una insicurezza alimentare ormai globale.
Tra le cause di questo aumento incontrollato dei prezzi degli alimentari, ha un peso specifico determinante la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. La Regione del Mar Nero, infatti, è una delle più ricche e fertili al mondo, e copre un’area di 30 milioni di ettari, coltivati a grano, colza, orzo, soia: un quarto del grano mondiale e più della metà dei semi oleosi di girasole a livello mondiale, prima della guerra, venivano prodotti qui. Il conflitto ha fatto salire i prezzi, ed il ritiro della Russia dall’accordo sul grano (Black Sea Grain Initiative), ha fatto esplodere i prezzi del grano. In Ucraina molti agricoltori e coltivatori hanno dovuto abbandonare i campi per mettersi in salvo, causando l’interruzione della produzione, e con il blocco dei principali porti ucraini commerciali è diventato impossibile esportare cereali e semi oleosi, causando rigidità del mercato e favorendo l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
Il secondo motivo della corsa dei prezzi degli alimentari è quindi la scarsità dei raccolti, che, in realtà, incide spesso sui prezzi, come è facile immaginare: una raccolto inferiore alle previsioni , a causa di condizioni climatiche avverse, porta ad una diminuzione dei rendimenti e della disponibilità di prodotto, spingendo in alto i prezzi alla produzione. Tutto questo si trasmette ai prezzi all’ingrosso e quindi ai prezzi al dettaglio. Recentemente, la scarsità dei raccolti è stata una costante, con i cambiamenti climatici che hanno un impatto sempre maggiore sui raccolti e quindi sulla produzione alimentare, causando una carenza di cibo e di materie prime, e rendendo le importazioni e le esportazioni sempre più costose.
Come se non bastasse, sulla produzione alimentare si sono abbattute anche problematiche “secondarie”. A partire dall’aumento delle bollette energetiche, che non può certo essere sottovalutato, dovuto ancora una volta al conflitto in Ucraina, perché la produzione e la lavorazione delle materie prime agricole comportano un notevole dispendio di energia. L’aumento dei costi di produzione, così, viene scaricato dagli agricoltori e dai produttori sui consumatori, aumentando il costo unitario dei prodotti alimentari. Un altro fattore che spinge al rialzo i prezzi dei prodotti alimentari a causa degli alti costi energetici, è la diversione della produzione agricola verso la produzione di biocarburanti. Ciò riduce la disponibilità alimentare di prodotti agricoli come olio di palma, olio di girasole o olio di colza, portando ad una minore offerta e ad una maggiore domanda per la stessa merce, e contribuendo così a spingere verso l’alto i prezzi dei prodotti alimentari.
Un ultimo aspetto, spesso sottostimato, riguarda infine la debolezza delle valute dei Paesi importatori. L’inflazione dei prezzi alimentari, infatti, in alcuni Paesi è dovuta alla dipendenza dalle importazioni, e un dollaro Usa più solido rispetto alle altre valute rende le materie prime, quasi sempre scambiate in dollari Usa, molto più costose, e questo riduce il potere d’acquisto di moltissimi Paesi importatori, specie quelli più poveri.
Il risultato è che ormai l’inflazione dei prezzi alimentari ha abbondantemente superato i livelli di guardia, raggiungendo livelli record, aumentando l’insicurezza alimentare e, in alcuni casi, aumentando le tensioni sociali, e nessun Paese è sfuggito a questo fenomeno. A sintetizzare l’influenza dell’inflazione sui prezzi dei diversi prodotti alimentari e delle materie prime agricole ci pensa il FAO Food Price Index, che misura le variazioni mensili dei prezzi internazionali di un paniere di materie prime alimentari, che dopo un aumento costante nel secondo trimestre 2023, segna un ulteriore +1,3% a luglio sul mese precedente.
Negli ultimi tre anni l’inflazione alimentare ha colpito indiscriminatamente in moltissimi Paesi e diverse tipologie di prodotto. Ad esempio, i prezzi degli oli, che dopo un rapido calo a inizio 2023, a luglio hanno subito un nuovo rimbalzo, del 21%, a causa degli aumenti dei prezzi di colza, soia e olio di palma. Ancora più evidente è l’inflazione vissuta dai cereali, con la corsa dei prezzi che colpisce, inevitabilmente, i consumatori. Sul FAO Food Price Index, l’indice dei prezzi dei cereali è passato da 130 punti nel 2021 a 142 nel 2023, con un aumento del 9%. E la tendenza dal 2019 mostra un aumento ancora più pronunciato negli ultimi 5 anni. Se pensiamo che nella maggior parte dei Paesi a basso reddito e sottosviluppati, il pane e altri alimenti a base di cereali sono la base della dieta è facile intuire la sofferenza che questo livello di inflazione porti ad interi popoli.
Un prodotto base di grande importanza nella produzione industriale delle bibite e non solo, è invece lo zucchero, attualmente più caro del 50% rispetto allo scorso anno, con un livello di prezzo che non sembra destinato a subire cali. Il FAO Sugar Price Index since, dal 2020 ad oggi, è passato da 80,4 a 112,3 punti, con un aumento nel periodo del 40%. Se i prezzi dello zucchero e di altri prodotti alimentari di base continueranno su questa tendenza, sarà piuttosto difficile limitare il problema dell’insicurezza alimentare.
A partire da giugno 2023, l’inflazione dei prezzi alimentari nei Paesi del G20 è stata ovunque di segno positivo, con la sola eccezione della Cina (-1,75% anno su anno), alle prese con una lunga stagnazione economica, ma anche con il calo verticale dei prezzi della carne suina, causato da un eccesso dell’offerta. L’Argentina ha registrato il maggiore aumento dell’inflazione dei prezzi alimentari, pari al +117% su base annua a giugno, e al +118% rispetto a maggio. Segue la Turchia, la cui inflazione dei prezzi alimentari è aumentata del +54% a luglio e del +60,7% su base annua. Nell’area Euro l’inflazione alimentare è stata invece del +12,6% su base annua e del +13,7% a luglio, con l’Italia che segna uno dei dati più alti: +10,9% di inflazione alimentare annua e +11% nel mese di luglio. Va peggio ai consumatori della Gran Bretagna, con una crescita del +17,3% su base annua e +18,3% su base mensile, mentre gli Usa Hanno saputo arginare il fenomeno e limitare l’inflazione alimentare ad un +5,7% su base annua ed al +6,7% su base mensile.
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