Con la pubblicazione sul Federal Register della black list definitiva dei prodotti europei che, a partire dalla mezzanotte e un minuto del 18 ottobre, saranno colpiti dai dazi voluti dall’Amministrazione Trump, per un valore di 7,5 miliardi di dollari, si chiude lo spazio per le trattative tra Usa e Ue, ma non la querelle, che rischia di riaprirsi se Washington dovesse decidere di avvalersi, come minacciato più volte, della “carousel retaliation”, che le consentirebbe di modificare periodicamente la lista dei dazi e la percentuale, tenendo i Paesi della Ue in uno stato di perenne incertezza. Si apre una fase nuova per l’agroalimentare italiano, che se da una parte, pensiamo al vino ed alla pasta, ma anche a tante altre produzioni d’eccellenza, ha tirato un sospiro d’eccellenza, dall’altra vede due settori fondamentali, come quello dei liquori ed il già fragile lattiero-caseario, dover fare i conti con prospettive a dir poco nefaste.
Sul fronte dei liquori, le stime di Federvini, parlano di una perdita secca del valore delle esportazioni, che, nel 2018, hanno toccato i 150 milioni di euro (163 milioni di dollari, ndr), sull’onda di una crescita del 40% negli ultimi 5 anni e del 13% solo lo scorso anno, che potrebbe arrivare al 35%, ossia a più di 50 milioni di euro. Una minaccia enorme per un comparto fatto, essenzialmente, di piccole e medi imprese, presenti su tutto il territorio nazionale, concentrate principalmente nei territori dei quali costituiscono spesso un rilevante polo di creazione di sviluppo, anche per quello che riguarda l’indotto. Una crescita dei prezzi a bottiglia di 2-2,5 dollari, inoltre, potrebbe mettere seriamente in crisi uno dei simboli moderni del made in Italy nel bicchiere: lo Spritz, che ha nell’Aperol (o nel Campari Bitter) una componente fondamentale. A lanciare l’allarme, tutt’altro che banale, è Bottega, che ha nel mercato Usa una meta importante sia per il Prosecco che per i liquori, e che adesso potrebbe cambiare rotta, e puntare, per l’apertura dei suoi prossimi “Bottega Prosecco Bar”, sul Canada.
Molto si è detto e scritto dell’impatto che i dazi al 25% avranno su produzioni importanti e simboliche del comparto caseario italiano, come quelle di Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Fontina, Asiago e Pecorino Romano, ma poco su quello che significa per la filiera. Una filiera già provata da cinque anni di embargo alla Russia e dalle incertezze sulla Brexit che aleggiano sul Vecchio Continente, e che adesso deve vedersela con i dazi Usa. In termini prettamente numerici, il latte utilizzato per la produzione di prodotti caseari esportati nel Regno Unito, negli Usa e in Russia ammonta a 670.000 tonnellate, come ricorda l’Alleanza delle cooperative agroalimentari. Che sottolinea un altro aspetto fondamentale: la remunerazione del latte destinato alla produzione di formaggi Dop è superiore del 40% alla media. Un valore aggiunto che tiene in piedi un sistema già messo a dura prova dalla crisi del Pecorino Romano, senza il quale l’intera filiera rischia di andare a gambe all’aria, specie se si tiene conto che la cooperazione rappresenta il 70% della produzione di Parmigiano Reggiano, il 63% della produzione del Grana Padano, l’80% della produzione di Fontina, il 65% della produzione di Asiago e il 60% della produzione di Pecorino Romano.
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