Su 2,5 miliardi di euro di vino importato nel 2017 in Germania, terzo mercato più importante dopo Usa e UK, il 36% è made in Italy. E se negli ultimi cinque anni, in linea con il trend generale, i vini fermi imbottigliati provenienti dall’Italia sono calati in volume del 10%, hanno comunque registrato una quasi equivalente crescita in valore (+9,8%), a riprova di un evidente riposizionamento qualitativo in un Paese che dal canto suo sta riscoprendo una predilezione verso i local wine, bianchi in testa. A dirlo è lo studio “Tendenze e prospettive per i fine wines italiani presso la ristorazione tedesca”, commissionato dall’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi (19 tra le più importanti realtà del Belpaese Alois Lageder, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Antinori, Argiolas, Tenuta Col d’Orcia, Ca’ del Bosco, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Rivera, Tasca d’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi, che insieme esprimono un fatturato di 560 milioni di euro, e un valore delle vendite all’estero pari al 6% dell’intero export enologico tricolore), all’Osservatorio Wine Monitor di Nomisma e presentato oggi a Roma in Associazione Stampa Estera.
Sotto la lente, 200 ristoranti (di cui il 78% di fascia medio-alta) segnalati dalle principali guide di settore e un campione di 1.000 consumatori che normalmente bevono vino fuori casa. Due filoni d’indagine da cui emerge come principale tratto comune una vera e propria “svolta campanilista” verso lo stile alimentare tradizionale tedesco a discapito di quello straniero. Di fronte alla scelta del vino da inserire in carta, infatti, il 34% dei ristoratori sceglie principalmente in base all’origine tedesca e poi alla popolarità del vitigno (33%) e alla notorietà del brand (23%). Sul versante dei consumatori, l’acquisto dei vini premium al ristorante (prezzo a bottiglia superiore ai 30 euro per i bianchi e ai 40 euro per i rossi) segue il criterio della tipologia (23%) e quello del territorio di produzione (21%) con in testa, nell’ordine, Germania, Francia e Italia.
“Nell’ultimo quinquennio - spiega Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor - si sta assistendo ad un calo dei livelli di consumi (-1,5%) che rischia di diventare strutturale per diverse ragioni. Prima tra tutte, la mancata sostituzione generazionale tra i consumatori stessi. Come per il mercato italiano, la popolazione tedesca che invecchia sta aumentando e, di conseguenza, beve meno, mentre i più giovani prediligono la birra, avvicinandosi al vino in età più matura. A ciò va aggiunta la riscoperta dei vini locali, che sta spingendo il consumatore a guardare sempre meno ai prodotti stranieri. Non a caso, mentre l’import dei vini imbottigliati scende di oltre il 4% a volume, il consumo di vino tedesco tra il 2012 e il 2017 è cresciuto del 3%. Ma c’è poi una terza motivazione legata invece alla percezione del vino tricolore, che evoca tra i consumer essenzialmente un concetto di convivialità, mentre invece non sembra soddisfare a pieno il rapporto qualità-prezzo. Emerge infatti che per molti degli intervistati i vini made in Italy proposti dalla ristorazione evidenziano prezzi in crescita non giustificata da incrementi qualitativi o legati all’innovazione. Va da sé quindi che il 53% dei ristoratori (63% tra quelli di fascia alta) dichiara di aver aumentato le vendite di vini tedeschi, malgrado gli italiani siano quelli maggiormente diffusi nelle wine list (li ha in carta l’88% degli esercizi intervistati)”.
Secondo l’indagine, sono dunque i teutonici, premium compresi, a primeggiare per il livello qualitativo percepito (35% delle preferenze), seguiti dai francesi (33%) e con distacco dagli italiani (14%). Una valutazione che trova corrispondenza anche nei rispettivi livelli di consumo.
Ma a detta dei ristoratori, la voglia dei clienti di bere sempre meno vini provenienti da altri Paesi, Italia inclusa, dipende principalmente dalla mancata conoscenza: basti pensare che alla domanda rivolta ai consumatori fuori casa “quale vino italiano hanno bevuto nell’ultimo anno”, ben 6 su 10 non sono stati in grado di indicare né un brand né una denominazione. In tal senso, sia per i ristoratori che per i consumatori interpellati, risulta quindi strategica l’organizzazione di eventi e degustazioni, anche se la proposta di inserire in carta brand che non si trovino contestualmente nei supermercati è in cima alle priorità espresse dal 35% dei ristoranti monitorati. Senza però dimenticare che in Germania, oltre l’80% dei vini viene venduto nei canali off-trade, discount in primis.
“Da tempo avvertiamo questo gap e anche un cambio di rotta sul mercato tedesco, ormai in continua evoluzione - dichiara Piero Mastroberardino, presidente Grandi Marchi - Istituto del Vino Italiano di Qualità - e l’indagine che abbiamo commissionato a Wine Monitor di Nomisma ci fornisce una conferma inequivocabile sul fatto che occorre lavorare sempre più sulla promozione, con azioni mirate sulla ristorazione, che di fatto rappresenta il principale canale di vendita dei fine wines in Germania. Negli ultimi anni abbiamo già organizzato diverse iniziative a Berlino, Amburgo, Colonia e Monaco alla presenza degli stessi produttori, proprio per raccontare in prima persona e far conoscere ulteriormente la tradizione, la cultura e l’altissima qualità del made in Italy enologico che la nostra compagine è in grado di rappresentare al meglio. Ma è evidente che occorre intensificare gli sforzi, perché il consumatore tedesco ha bisogno di conoscere la nostra grande varietà e i diversi territori di appartenenza”.
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